Il mondo delle arti marziali, così come quello degli sport da combattimento, è un microcosmo che riflette le dinamiche più ampie della società umana. Tra studenti e maestri, tra bravura e fedeltà, si gioca una partita complessa in cui spesso emergono contraddizioni che rivelano molto della natura umana. Tuttavia, è necessario distinguere tra le arti marziali tradizionali e gli sport da combattimento, poiché le dinamiche di questi due ambiti, sebbene interconnesse, presentano differenze significative.
La bravura e l’anima libera nelle arti marziali tradizionali
Essere bravi in una disciplina marziale tradizionale richiede più di semplice abilità tecnica. Richiede un’anima libera, una mente aperta e la capacità di apprendere, adattarsi e innovare. Chi eccelle in questo contesto non è solo un praticante, ma anche un ricercatore e un interprete della profondità culturale e filosofica di queste discipline. Questa libertà interiore è spesso fraintesa dai maestri che non sono risolti interiormente.
Un’anima libera non teme di fare domande, di sfidare lo status quo e di migliorare ciò che le è stato insegnato. Ma questa stessa libertà può essere percepita come una minaccia da chi non ha fatto i conti con il proprio ego. L’insegnante insicuro, dominato dal proprio bisogno di controllo e riconoscimento, tende a preferire studenti che si limitano a seguire senza mai mettere in discussione.
Fedeltà o servilismo?
C’è una profonda differenza tra la fedeltà autentica e il servilismo. La fedeltà nasce dal rispetto e dalla gratitudine. È un riconoscimento sincero del valore di ciò che si è ricevuto. Il servilismo, invece, è un comportamento superficiale, volto a compiacere, spesso privo di sostanza. Il problema è che molti insegnanti non riescono a distinguere tra le due cose, preferendo circondarsi di persone che li adorano ciecamente piuttosto che di individui autenticamente grati ma indipendenti.
Il vero maestro dovrebbe riconoscere che la crescita degli studenti, anche quando li supera, è il più grande tributo alla sua capacità di insegnare. Eppure, spesso accade il contrario: l’ego insoddisfatto teme di essere eclissato e quindi opta per i “lacchè”, quegli studenti che offrono adorazione in cambio di attenzione, anche se questa adorazione è falsa.
Gli sport da combattimento: meritocrazia e prestazione
Nel contesto degli sport da combattimento, oggi sempre più riconosciuti come percorsi professionali, le dinamiche sono in parte diverse. Qui, il talento e la bravura vengono spesso valorizzati, poiché l’obiettivo è massimizzare la prestazione. Un atleta di successo porta prestigio al preparatore atletico, alla palestra e all’intero sistema che lo supporta. Questa meritocrazia spinge a selezionare e sostenere i più talentuosi, favorendo un approccio più pragmatico e orientato ai risultati.
Tuttavia, c’è un prezzo da pagare per questo focus sulla prestazione. Gli sport da combattimento tendono a tralasciare la profondità corporea, culturale e filosofica che caratterizza le arti marziali tradizionali. L’enfasi è spesso posta sulla forza, sulla tecnica e sulla vittoria, mentre aspetti come la consapevolezza interiore, la disciplina mentale e il rispetto per la tradizione rischiano di passare in secondo piano.
Imbattuto dalla fine degli anni Settanta fino al suo ultimo incontro al Tokyo Dome nel 2000, Rickson Gracie ha ottenuto centinaia di vittorie ovunque, in strada, in spiaggia e sul ring. È uno dei più famosi lottatori di arti marziali del ventesimo secolo e per questo risiede nel pantheon insieme con Bruce Lee. In Respira, per la prima volta Rickson rivela tutta la storia del clan dei Gracie, di come suo padre e suo zio hanno sviluppato il jiu jitsu, di cosa ha significato crescere in una famiglia di lottatori di fama internazionale, e i principi e le abilità che lo hanno portato al suo record imbattuto. Dall’imparare a farsi valere nelle turbolente strade di Rio a ottenere successo e onore in Giappone, fino al riemergere dopo una dolorosa tragedia personale, il grande maestro di arti marziali racconta le numerose sfide che ha superato nella vita, esaltando virtù universali e mostrando ai lettori che orgoglio ed ego sono nemici del successo. Con foto inedite e approfondimenti sulle arti marziali e sulle incredibili risorse dell’essere umano, Respira è una fonte di ispirazione per affrontare le difficoltà della vita e superarle con dignità e grazia attraverso il sacrificio e il rispetto di valori universali.
In Respira, per la prima volta Rickson rivela tutta la storia del clan dei Gracie. Dall’imparare a farsi valere nelle turbolente strade di Rio a ottenere successo e onore in Giappone.
Il ruolo dell’ego nell’insegnamento
L’ego è una componente naturale dell’essere umano, ma diventa un problema quando domina il comportamento. Un maestro risolto interiormente è consapevole del proprio ego e lo tiene sotto controllo. Sa che l’insegnamento non è una forma di autocelebrazione, ma un atto di generosità. Al contrario, un maestro dominato dall’ego vede il successo degli altri come una minaccia e cerca conferme esterne per placare le proprie insicurezze.
Questo spiega perché, nelle arti marziali tradizionali, molti maestri preferiscono gli studenti fedeli nel senso di “servili”. Non si tratta di vera fedeltà, ma di un rapporto di dipendenza reciproca: lo studente cerca l’approvazione del maestro, e il maestro alimenta il proprio ego attraverso l’adorazione dello studente. Negli sport da combattimento, questa dinamica viene spesso sostituita da un sistema più meritocratico, anche se meno profondo dal punto di vista umano e culturale.
Le conseguenze di due sistemi diversi
Un sistema che premia il servilismo anziché la bravura, come spesso accade nelle arti marziali tradizionali, è destinato a stagnare. Gli studenti più brillanti, quelli capaci di innovare e portare avanti la disciplina, spesso si allontanano o vengono marginalizzati. Questo non solo impoverisce il singolo contesto, ma rappresenta una perdita per l’intero campo.
D’altra parte, gli sport da combattimento, pur favorendo la meritocrazia, rischiano di perdere il legame con le radici profonde delle arti marziali, riducendo la pratica a una mera performance atletica. Il rischio è quello di creare atleti eccellenti ma privi di una connessione più ampia con la cultura e la filosofia che hanno dato origine a queste discipline.
Il vero maestro: risoluzione e generosità
Il vero maestro, sia nelle arti marziali tradizionali che negli sport da combattimento, è colui che vede nella libertà e nella bravura dei suoi studenti una testimonianza del proprio successo. Non teme di essere superato, perché comprende che il suo ruolo non è quello di detenere un potere, ma di trasmettere una conoscenza che va oltre se stesso. Questo richiede una profonda risoluzione interiore, una maturità che pochi riescono a raggiungere.
Un maestro risolto non ha bisogno di essere adorato. Sa che la gratitudine autentica non si manifesta con parole vuote, ma con il rispetto e l’impegno di chi continua a crescere grazie agli insegnamenti ricevuti. Sa anche che la fedeltà non è sottomissione, ma un legame basato sulla stima reciproca.
Conclusione: un cambiamento necessario
Per cambiare queste dinamiche, è necessario che gli insegnanti inizino un percorso di crescita interiore. Devono imparare a riconoscere il proprio ego e a metterlo da parte. Solo allora potranno apprezzare veramente la bravura dei loro studenti, senza sentirsi minacciati. Allo stesso tempo, gli studenti devono essere incoraggiati a coltivare la propria libertà d’animo, senza temere di essere marginalizzati per questo.
L’insegnamento autentico non è una questione di controllo, ma di condivisione. È un atto di generosità che richiede coraggio, maturità e un ego ben gestito. Solo così si può creare un ambiente in cui la bravura viene premiata, la fedeltà è sincera e il rapporto tra maestro e studente diventa una fonte di crescita reciproca.