falsi maestri

Dào (道) non è un termine cinese facilmente traducibile. O meglio, si può tradurre ma è difficile farne capire l’essenza se il termine viene svincolato dal suo antico significato legato al sistema di pensiero confuciano, moista e daoista.
Ad ogni modo già una delle semplici traduzioni letterali restituisce in parte il senso. Dào (道) è composto da “首” e ” 辶” che insieme possono essere tradotti come “Via”. Quindi, “coltivazione del Dao” significa “coltivare una Via”. Quale Via? Oggi potremmo dire che ogni Via potenzialmente è buona, ma il riferimento antico del termine è legato a quale sia la corretta Via per la società e per l’individuo. Qual è la Via utile a ritrovare una presunta età perfetta ancestrale nel quale tutto era in armonia? In questo contesto antico, nel quale diverse correnti filosofiche discutevano animatamente, emerse quello che poi prese il nome di daoismo.
La Via del daoismo generalmente fa riferimento a un “fare” basato su concetti ritrovabili in alcuni testi antichi cinesi, quali per esempio l’Yijing o il Daodejing (solo per citarne due noti). Questi testi, a loro volta, si basano su un principio cardine che è “Taiji”, la ricerca dell’equilibrio, nel mutamento costante degli opposti yin-yang.

Nell’arte marziale del Taiji(quan) generalmente si incontrano due tipi di persone che fanno da ponte della conoscenza. Da un lato ci sono i Maestri – vere e proprie guide, ormai rare, lungo un cammino di trasformazione – che indicano metodi psicofisici utili a dimorare nell’equilibrio durante il mutare costante della vita. Dall’altro lato ci sono tutti gli altri. Questi “altri” spesso vengono chiamati “maestri” pur non essendolo.

I falsi maestri in genere fanno rimanere gli allievi a un basso livello, lasciandoli in balia di un ego in tumulto, incapace di trattenere il suo ardere costante. Se i presunti maestri non hanno lavorato sul proprio ego come possono essere in grado di indicare una “buona Via” agli altri? Semplicemente non sono in grado, perchè non incarnano l’esempio sano di nessuna buona pratica. Difatti basta osservare un allievo per capire i problemi che ha il suo insegnante. Persino l’allievo più fortunato, ovvero colui che si accorge di essere stato tra le braccia di un falso maestro, comunque impiegherà diverso tempo per liberarsi dalle modalità lasciategli in eredità.

Accade non di rado che gli “allievi” siano più in equilibrio degli “insegnanti”. Ma in questo caso gli insegnanti cosa sono in grado di insegnare? Nel contesto del Taijiquan questi in genere sono semplicemente bravi tecnici che sanno dimostrare alcune abilità marziali di base che spacciano per abilità di alto livello. Per tale motivo costoro non meriterebbero un appellativo che vada oltre quello di “istruttore”. Eppure in occidente gli asiatici spesso riescono a guadagnarsi l’appellativo di “Maestro”. Perché? Questo è il frutto di un preconcetto che molti occidentali hanno quando si trovano in presenza di un asiatico, ovvero: ogni praticante dal volto asiatico è un saggio. Ironicamente sarebbe come dire che ogni cinese dia per scontato che qualsiasi napoletano sia un Maestro pizzaiolo.

Un asiatico non è più o meno saggio di qualsiasi altra persona. Così come non è più o meno abile nel mostrare tecniche di qualsiasi altro abitante del pianeta. La differenza in percorsi di questo tipo non la fa certo l’etnia, ma piuttosto il livello di studio, di ricerca e di pratica. L’unico vantaggio ovvio, che i cinesi hanno avuto per diverso tempo, è stato l’accesso alla letteratura scientifica riguardante i loro sistemi filosofici e pratici. Motivo per il quale in passato, dimorando nell’ignoranza, sono stato portato a credere che alcuni insegnamenti fossero di alto livello. Solo successivamente, studiando i testi cinesi “madre”, ho scoperto che spesso si trattava di persone munite di abilità base fatte passare  implicitamente per qualità speciali, figlie di un lignaggio elitario. Per tale motivo, a un certo punto del percorso, ho tradotto i primi tre Classici del Taijiquan in italiano così che ogni praticante possa oggi agevolmente comprendere in autonomia quello che un asiatico furbo (per usare un termine garbato) gli spiegherebbe dopo molti anni.

Ancora oggi, in un mondo globalizzato, fatto di scambi commerciali e relazionali, non sono pochi gli asiatici che vendono “pappa pronta” come fosse cucina gourmet. Al fine di lucrare (speculare) con il metodo dell’inganno, alcuni presunti maestri diluiscono la conoscenza attraverso piccole somministrazioni che vengono vendute a rate (su tempi lunghi) agli ignari occidentali. Ma questi finti maestri si guardano bene dal spiegare ogni cosa. Costoro hanno capito che “sapere” è “potere” e oggi quel “potere” significa “denaro”.

Nel mio cammino personale attraverso il Taijiquan posso dire con assoluta certezza, e con il senno di poi, che alcuni dei miei migliori Maestri sono stati occidentali. Questo chiaramente non vuole dire che gli occidentali sono meglio degli asiatici, ma la mia esperienza dimostra che trovare persone con il cuore aperto, dei veri Maestri, più che dei semplici tecnici, non è qualcosa che oggi può essere determinato da una etnia o da una cultura specifica.

Nel corso dei miei viaggi ho conosciuto persino finti buddhisti che usavano l’abito da monaco per fare truffe agli stranieri.

La strada della conoscenza può essere tortuosa sin quando si incontrano finti maestri o finti istruttori (nel caso del Taijiquan). Ma diventa una Via fluida quando si incontrano belle persone disposte a condividere davvero. Ma per accogliere ciò che un vero Maestro dona bisogna essere dei bravi allievi, ovvero essere muniti della capacità di porsi a cuore aperto in egual misura, senza preconcetti e pregiudizi della conoscenza. E credo che questo valga per qualsiasi percorso.

© Valerio Bellone