Quando ognuno decide di chiamare lo stesso fiume in modo diverso e ha la pretesa che il nome da lui indicato sia l’unico possibile, inizia la fine della pace. Confondere il fine con il mezzo è la costante problematica umana. L’unica “verità” è che l’essenza del fiume è l’acqua, e la sola cosa che dovrebbe interessare i popoli, che vengono bagnati da essa, è che questa sia pura. Se al contrario, tra un popolo e l’altro, si combatte per decidere come chiamare lo stesso fiume, tutti dimenticheranno di curare la sua essenza; così, l’acqua inizierà a inquinarsi e ad avvelenare i popoli che saranno troppo impegnati a combattersi per accorgersene.

Questo è quello che avviene da migliaia di anni tra i popoli: sprecano tempo a combattersi e a fare proseliti per ottenere potere, invece di impegnarsi in modo unito sull’essenza del tutto.

Non esiste un unico metodo o una sola via, così come non esiste un fiume che abbia un solo nome lungo il percorso. Però esiste una sola essenza. Se avete capito questo, smettendo di pretendere un contatto con il sé (dio o dei) attraverso quello che credete essere l’unico e solo culto possibile, allora siete su un cammino di pace, fratellanza e quindi felicità. Viceversa, la pretesa di ottenere qualcosa in cambio dalla preghiera, recitata all’interno del vostro “clan”, prima o poi vi farà andare in scontro con altri clan e persone di culto diverso dal vostro. Poco servirà la chiusura nelle proprie convinzioni, dato che l’armonia nasce dalla condivisione e non dall’esclusività. Che voi pronunciate “Nam myoho renge kyo”, “Om Mani Padme Hum” o “Padre nostro che sei nei cieli…”, poco cambia. Il vostro non è il modo, ma solo uno dei tanti modi, che non vale più o meno di quelli altrui e che serve al medesimo scopo. L’unica cosa importante è sapere se la propria via conduce agli altri e al tutto, piuttosto che schermarvi dagli altri e dal tutto, pretendendo di accumulare “potere”. Null’altro conta davvero.

© Valerio Bellone