Viviamo in un universo che sembra dominato da cifre, equazioni e algoritmi. Misuriamo il tempo in secondi, le distanze in parsec, le emozioni in numero di “like” e le economie in PIL. La matematica viene celebrata come il linguaggio universale della natura, una struttura oggettiva che regola tutto, dalle orbite dei pianeti al codice genetico. Ma cosa accadrebbe se questa convinzione fosse un’illusione? Se i numeri fossero solo un filtro cognitivo, un tentativo umano di rendere familiare l’inconoscibile?
In questo articolo esploro il paradosso della matematica: uno strumento potentissimo, ma anche una costruzione culturale e biologica. Attraverso filosofia, neuroscienze, fisica quantistica e saggezza indigena, scopriremo che la realtà è un mosaico di linguaggi, dove i numeri sono solo uno dei tanti tasselli.
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Matematica e filosofia: un dialogo antico
Nel IV secolo a.C., Platone immaginava la matematica come una porta verso il mondo delle “Forme Pure”, entità immutabili al di là del sensibile. Secoli dopo, Kant ribadì che spazio e numeri non sono proprietà dell’universo, ma categorie innate della mente umana.
In realtà, la matematica è efficace nel descrivere quello che ci circonda proprio perché plasmiamo tutto attraverso le nostre strutture cognitive.
L’universo potrebbe essere diverso, ma noi lo osserviamo con occhi che cercano simmetrie e relazioni. Come scriveva il filosofo Alfred North Whitehead:
La matematica è il prodotto di una libera immaginazione umana, ma deve comunque adattarsi alla realtà osservata.
Un adattamento che, però, non prova l’esistenza di una “matematica cosmica”, ma solo la nostra capacità di inventare modelli utili a dare spiegazioni rassicuranti di quel che ci circonda.
I limiti della perfezione matematica
Anche la matematica ha confini. Nel 1931, Kurt Gödel dimostrò che in ogni sistema formale esistono verità irraggiungibili attraverso gli assiomi stabiliti. Questo svela un fatto cruciale: la matematica, per quanto potente, non è autosufficiente né onnicomprensiva. È uno strumento meravigliosamente imperfetto, radicato nel linguaggio umano e nei suoi limiti.
Ad esempio, le cicale Magicicada emergono ogni 13 o 17 anni, cicli che coincidono con numeri primi. Gli scienziati interpretano questo come una strategia evolutiva per evitare i predatori. Ma le cicale non conoscono i numeri primi: rispondono solo a stimoli ambientali come il calore del suolo. Quindi la matematica non governa le cicale, ma ne descrive efficacemente il comportamento per ciò che è razionalmente comprensibile da noi umani: una distinzione fondamentale.
La natura oltre i numeri: dal Dao alle culture indigene
Immaginiamo un mondo senza numeri: gli alberi crescerebbero, i fiumi scorrebbero e le stagioni muterebbero senza bisogno di essere misurate. Nel Daoismo, il Dao rappresenta, in determinati contesti, il flusso naturale dell’universo, un mutamento senza regole fisse. Infatti, scriveva Laozi: “Il Dao che può essere espresso non è l’eterno Dao“; sottolineando l’inadeguatezza e l’insufficienza dei linguaggi umani di fronte al mistero.
Allo stesso modo, molte culture indigene interpretavano la realtà senza numeri. Per gli Inuit, un fiume non è “litri d’acqua al secondo”, ma un antenato vivente; per gli aborigeni australiani, il tempo è un ciclo di storie, non una sequenza lineare. Queste visioni, che non hanno nulla a che vedere con l’idea “new age” (in senso banalizzante) del mondo, hanno preservato ecosistemi per millenni, dimostrando che, per esempio, la sostenibilità richiede rispetto e ascolto, non algoritmi.
Theodor G. Strehlow, etnologo outsider non allineato alle direttive colonialiste, ci regala con questo piccolo libro un distillato della sua visione del pensiero religioso degli aborigeni australiani. Per primo egli ha rovesciato il pregiudizio di uomini “primitivi”, considerati tra i più arretrati della Terra, mostrando invece come il loro linguaggio, le loro usanze e i loro riti lasciassero trasparire una visione spirituale, filosofica e magica del mondo, straordinaria e affascinante. “La bellezza, la complessità e la pura poesia” della cultura dei nativi australiani è ciò che scopriamo in questo libro, a partire dalla centralità della dimensione del sogno: il “tempo del sogno”, infatti, non è una mera dimensione di fantasia, ma il fondamento di tutto ciò che profondamente è. Sognare è “vedere o sognare cose eterne”, “vedere con visione eterna”.
Scienza moderna: modelli, non verità assolute
La fisica quantistica ha demolito l’idea di un universo prevedibile. Particelle che sono simultaneamente onde, stati sovrapposti, legami tra particelle: qui la matematica non “governa”, ma descrive probabilità. Come osservò Heisenberg: “Ciò che osserviamo non è la natura in sé, ma la natura esposta al nostro metodo di indagine“.
Persino la legge di gravitazione universale, spesso citata come prova del dominio matematico, è solo una mappa. L’universo non “segue” equazioni: si muove e muta, e noi troviamo modelli per descriverlo. La matematica è quindi come una lente, ma non la sorgente della luce.
Neurobiologia: perché il cervello ama i numeri
Il nostro cervello è una macchina che cerca motivi e schemi. I lobi parietali, coinvolti nel calcolo, si attivano anche per stimare quantità in modo intuitivo – lo fanno anche gli scimpanzé con le banane. Questa abilità è un adattamento evolutivo: trasformare il caos in numeri ci ha permesso di prevedere predatori, raccolti, stagioni.
Ma i numeri non sono “reali”: sono estensioni della mente, un metodo utile alla nostra sopravvivenza. Quando misuriamo il successo in numero di follower, stiamo applicando uno schema biologico a dimensioni che lo trascendono. I numeri ci rassicurano, ma rischiano di ridurre la complessità umana a dati freddi.
L’irragionevole efficacia della matematica
Nel 1960, il fisico Eugene Wigner parlò di “irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”.
Ma se la matematica è un’invenzione umana, come fa a predire fenomeni sconosciuti, come l’esistenza del bosone di Higgs? La risposta potrebbe risiedere nella coevoluzione: la matematica si è affinata per adattarsi alla realtà, non viceversa.
Tuttavia, questa presunta efficacia ha dei limiti. La teoria del caos mostra che piccole variazioni iniziali possono produrre esiti imprevedibili, come nell’idea che un uragano possa nascere dal battito d’ali di una farfalla. Qui, la matematica descrive l’impossibilità stessa della previsione perfetta, ricordandoci che il caos è parte integrante del cosmo, e noi umani abbiamo dei limiti oggettivi quando tentiamo di controllare l’universo, ordinandolo e cercando di fare le veci del Tutto (o di Dio, se preferisci definire così la fonte di ogni cosa – in merito puoi leggere anche Dao e Dio: tra narrazione religiosa e filosofia universale).
È sempre più diffusa la convinzione che la matematica sia lo strumento principe per analizzare e prevedere ogni aspetto della realtà, e questa visione è diventata tanto influente per il ruolo centrale che la matematica ha assunto negli sviluppi recenti della fisica e della tecnologia. Ma il mondo è matematico? Per rispondere a questa domanda, l’autore spiega con un approccio estremamente semplice come venga usata la matematica nella versione più recente della costruzione di modelli. Traccia poi il percorso storico che ha condotto dall’idea di Galileo che il mondo è scritto in linguaggio matematico fino alla contemporanea modellistica matematica. Infine descrive le problematiche più recenti – tra cui il tema della “ragionevole” o “irragionevole” efficacia della matematica e il ruolo del calcolatore nella ricerca scientifica.
Tecnologia: quando i numeri ci plasmano
Oggi viviamo un paradosso: più usiamo algoritmi per interpretare il mondo, più rischiamo di diventarne prigionieri. I social media misurano il valore in like, gli orologi smart quantificano il sonno in fasi REM, i sistemi di credito riducono l’affidabilità a un punteggio.
Questo riduzionismo numerico può distorcere la realtà: un’opera d’arte non è il suo prezzo di mercato, una persona non è il suo stipendio. I numeri rischiano di appiattire le sfumature, trasformando il mistero in fogli di calcolo.
Tecnologia: quando i numeri ci plasmano
Oggi viviamo un paradosso: più usiamo algoritmi per interpretare il mondo, più rischiamo di diventarne prigionieri. I social media misurano il valore in like, gli orologi smart quantificano il sonno in fasi REM, i sistemi di credito riducono l’affidabilità a un punteggio.
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Altri linguaggi: arte, meditazione e mito
Se la matematica è un linguaggio, esistono anche altri “dialetti” dell’anima:
Arte – Un dipinto di Van Gogh cattura la notte stellata meglio di qualsiasi equazione astronomica. La musica comunica e suscita emozioni che sfuggono alle parole e ai numeri. Oggi si dice che la musica sia matematica, ma coloro che iniziarono a fare musica nella notte dei tempi non sapevano nulla di matematica.
Meditazione – Nel silenzio mentale, senza numeri o concetti, si sperimenta la realtà in modo diretto. Il Buddismo invita a “vedere senza pensare”, a fluire con il presente.
Mito – I popoli antichi spiegavano il tuono con il dio Thor, il sole con il carro di Apollo. Queste metafore, sebbene non scientifiche, davano senso al caos, integrando l’umano nel cosmico. Erano altri sistemi di linguaggio descrittivo, non erano arretrati, ma semplicemente diversi.
La matematica non è un linguaggio più avanzato. Avanzato rispetto a cosa? Ha forse la matematica migliorato l’equilibrio tra essere umano e natura?
Questi linguaggi non devono però essere visti come un modello in competizione con quello della matematica, ma come una forma di accrescimento della consapevolezza umana. Come note in una sinfonia, ogni sistema di linguaggio rivela una faccia del poliedro universale.
Danzare tra numeri e mistero
La matematica è una delle grandi narrazioni umane, ma non l’unica. È uno strumento utile per costruire ponti e satelliti, ma inadeguato a catturare l’emozione di un bacio o il significato molteplice che può avere un tramonto.
La vera saggezza sta nell’equilibrio: usare i numeri senza esserne dominati, apprezzare la logica senza dimenticare il mistero. Come insegnano il Daoismo e la fisica quantistica, l’universo è un flusso dinamico, non un orologio meccanico.
Forse, invece di cercare una “teoria del tutto”, dovremmo abbracciare una “pratica del molteplice”: contare quando serve, dipingere quando ispira, meditare quando il silenzio ci chiama. Dopotutto, come scriveva Rainer Maria Rilke: “Vivere le domande” — senza pretendere risposte definitive.
In questo dialogo tra ordine e caos, tra numeri e poesia, troviamo non la verità, ma la libertà di esplorare infiniti mondi possibili che rispondono a una realtà che devi trovare da sola/o.