meditazione scopo
In questo articolo si parla dei sistemi di meditazione per la salute e dell’origine della meditazione nel contesto dell’illuminazione (“risveglio”).

Meditazione e salute

I metodi secondari della meditazione, nel senso che nacquero a supporto dei meditatori – impegnati nel loro percorso primario, illustrato in seguito – divennero con il tempo le “pratiche di base”.
Tali pratiche presero vita in un periodo storico durante il quale le “cure” prestate dagli esperti erano accessibili a pochi e comunque si trovavano, da un punto di vista scientifico moderno, a uno stadio primitivo. Di conseguenza, lo scopo base della meditazione, attraverso pratiche respiratorie e mentali, era quello di supportare l’organismo attraverso processi di auto cura, migliorando lo stato generale della salute, espellendo dal corpo batteri nocivi e virus. Infine questi metodi a supporto del percorso primario servivano per rafforzare la circolazione dell’energia vitale, in cinese detta Qi (氣) e nella cultura indiana chiamata Prana ( प्राण).

Tali “sistemi di base” con il passare del tempo diedero origine ad altre pratiche nelle quali si usavano movimenti del corpo che aiutavano il meditatore principiante a canalizzare l’energia vitale (Qi) attraverso i giusti percorsi energetici, facilitando la concentrazione della stessa nei centri psichici, supportando la trasformazione del Jing (“essenza” / “energia sessuale”) in Qi e veicolando in fine il Qi al fine di trasformarlo in Shen (spirito). Tutto ciò portò a pratiche esoteriche dette di “immortalità”.

Un ulteriore passaggio dell’evoluzione di tali pratiche, alcune delle quali fanno parte della cultura cinese, dette nei gong (ma oggi conosciute dai più in forme semplificate come qi gong) fu il loro incontro e unione con alcuni sistemi combattivi che portarono alla nascita di alcune arti marziali (dette “interne”) come per esempio quella oggi conosciuta con il nome Taijiquan (o secondo la precedente forma di trascrizione “Taichi Chuan”) – puoi leggere in merito Origine e scopi del Taijiquan? – ma che un tempo più remoto era nota come Nei Jia Quan (“Famiglia marziale interna”) e successivamente venne conosciuta anche con nomi quali Zhangquan (anche trascritto Changquan), Shisanshi e Bamen Wubu.

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Meditazione e risveglio della mente

Il mondo naturale, l’universo dal quale siamo emersi, è composto da una varietà e una complessità che possono essere dette infinite. Trattasi di una multidimensione che non contiene né linee rette né forme perfettamente regolari, nel quale le cose non avvengono in successione – come nella mente ordinaria – ma bensì tutte contemporaneamente. In questo universo, come ci insegna anche la fisica moderna, persino lo spazio vuoto ha una curvatura.

Appare quindi chiaro che il nostro sistema astratto di pensiero concettuale non potrà mai descrivere o comprendere la realtà nella sua complessità. Cercando di comprendere l’universo, ci troviamo di fronte alle stesse difficoltà che incontra un cartografo che cerca di rappresentare la superficie curva della Terra con una serie di mappe piane. Da un procedimento di questo tipo ci possiamo aspettare solo una rappresentazione approssimata della realtà. Di conseguenza tutta la conoscenza razionale è necessariamente limitata.

Il campo della conoscenza razionale è come quello della scienza che misura e quantifica, classifica e analizza. I limiti di una qualsiasi conoscenza ottenuta con questi metodi sono diventati sempre più evidenti nella scienza moderna e in particolare nella fisica la quale ci ha insegnato che ogni parola o concetto, per chiari che possano sembrare, hanno comunque un campo limitato di applicabilità.

Per la maggior parte delle persone è molto difficile tenere costantemente presenti i limiti e la relatività della conoscenza concettuale. Poiché la propria rappresentazione della realtà è molto più facile da afferrare che non la realtà stessa, di conseguenza si tende a confondere le due cose e a prendere i propri concetti e i propri simboli come fossero la realtà.

Lo scopo principale della meditazione è quello di liberare le persone da questa confusione. C’è una frase Zen, oggi divenuta nota, nella quale è detto che serve un dito per indicare la luna, ma che non bisogna preoccuparsi del dito quando si è individuata la luna. Ovvero, il fine delle parole è l’idea, ma una volta afferrata l’idea si può mettere da parte le parole. Nel contesto meditativo significa anche passare dalla teoria alla pratica. In merito potrebbe anche interessarti l’articolo Taichi e meditazione, differenze tra mappa e territorio.

Ciò che interessava ai praticanti di meditazione del passato di ogni luogo, era la ricerca di un’esperienza diretta della realtà che trascendesse non solo il pensiero intellettuale, ma anche la percezione sensoriale. Nel testo Upanisad si legge:

Essendosi concentrato su ciò che è di là dall’udito, di là dal tatto, di là dalla vista, di là dal gusto e dall’olfatto, che è indefettibile ed eterno, senza principio e senza fine, più grande del grande, duraturo, l’uomo si salva dalle fauci della morte.

La conoscenza che deriva da un’esperienza di questo tipo viene chiamata dai Buddhisti “conoscenza assoluta” perché non si basa su discriminazioni, astrazioni e classificazioni dell’intelletto, le quali sono sempre relative e approssimate. Essa è, come ci dicono i Buddhisti, l’esperienza diretta “dell’essenza assoluta”, indifferenziata, indivisa, indeterminata. Non essenza di qualcosa, ma essenza in quanto tale. La comprensione perfetta di tale essenza assoluta non solo è il cuore dell’antica conoscenza orientale fondata sulle pratiche meditative, ma è anche la caratteristica fondamentale di ogni esperienza mistica.

La realtà ultima non può mai essere oggetto di ragionamento o di conoscenza dimostrabile. Né può essere descritta adeguatamente con parole nell’ambito discorsivo, dato che sta al di là del campo dei sensi e dell’intelletto dai quali derivano le nostre parole e i nostri concetti. A questo riguardo le Upanisad dicono:

Ivi non giunge la vista, né la parola, e neppure la mente. Non sappiamo né conosciamo in quale modo lo si possa insegnare.

Come nel romanzo fantastico Flatlandia, come potrebbe la mente razionale di un essere bidimensionale, qual è un flatlandese, percepire la terza dimensione, dato che di fatto non ne può avere esperienza sensoriale?
Dovrebbe essere chiaro che anche i nostri sensi ci limitano all’interno di una dimensione funzionale alla sopravvivenza che però è illusoria in quanto non è uno specchio della realtà più ampia.

Laozi chiama “Dao” questa realtà ultima e inconoscibile, tanto dalla mente razionale che da quella sensoriale, che in altre culture, luoghi tempi è stata nominata in modi diversi come Brahman, Satyaloka, Yahweh, Allah, Dreamtime, ecc.
Laozi esprime il medesimo concetto, sopra riportato dell’Upanisad, nella prima riga del Daodejing, dicendo: «道, 可以稱道之者, 非天地常久不滅之道。». Che tradotto significa:

Il Dao che può essere detto [del quale si può parlare] non è l’eterno [il vero] Dao del Cielo e della Terra [fonte del tutto].

Nel corso dei secoli gli illuminati di ogni luogo sono riusciti a trovare il Dao (o come oggi lo si preferisca nominare) perché hanno raggiunto lo stato del vero risveglio in cui, al di là delle parole e delle forme, si realizza la conoscenza assoluta. La loro saggezza e il loro messaggio spirituale sono diventati le Sacre Scritture del mondo e queste, malgrado le differenze esteriori dovute alla diversità dei linguaggi e dei momenti storici e sociali, sono tutte espressioni – talvolta chiare e palesi, a volte oscure, simboliche o allegoriche – delle stesse verità fondamentali dello Spirito.

Esiste quindi una verità di fondo che è comune a tutti i credo e a tutte le religioni, che sono di fatto una intellettualizzazione delle consapevolezze – spesso dogmatizzate – raggiunte, attraverso la meditazione, dagli illuminati di ogni tempo.
In realtà, non vi è alcuna differenza all’origine delle verità professate dalle varie fedi. Il mondo infatti si evolve, sia esteriormente che interiormente, secondo il medesimo procedimento. Tutte le Scritture riconoscono una sola verità. Eppure questa verità fondamentale non è facilmente compresa. Il disaccordo esistente tra le diverse religioni è l’ignoranza umana in merito al “piano superiore”. Questa rende quasi impossibile sollevare il velo così da intravedere la grande verità che determinerebbe anche la cessazione di ogni conflitto.

Sebbene l’ignoranza umana può avere diverse origini e prendere diverse forme, nell’era attuale consiste principalmente nella concezione errata che porta a credere all’esistenza di ciò che non esiste. L’uomo contemporaneo comunemente ritiene che la creazione fisica sia la sola cosa ad avere un’esistenza reale, perchè tangibile attraverso i sensi, e che al di là di questa non esista nient’altro. Dimentica che la creazione fisica è soltanto un gioco di idee in seno allo Spirito Eterno, l’unica Sostanza Reale che trascende la comprensione della creazione materiale.

L’ignoranza non è quindi soltanto un male in sé stessa, ma è anche l’origine di tutti i mali e delle sofferenze umane. Infatti, come disse  Zhuangzi:

Fa che il Dao possa essere riferito [ovvero spiegato e quindi assorbito dagli altri] e non vi sarà uomo che non lo riferirà ai fratelli.

In poche parole: “rendi la verità comunicabile attraverso le parole e non ci sarà essere umano che non vorrà riferirla ad altri per il bene di tutti”. Ma siccome ciò non è possibile, la verità finisce puntualmente per essere deviata dalla dimensione concettuale (incapace di definire un ambito sovra terreno universalmente conoscibile) e diviene infine un’imposizione dogmatica che realizza lo scopo opposto alla sua vera natura.

La “conoscenza assoluta” della quale si parla nel misticismo è necessario comprendere che è un’esperienza della realtà totalmente non intellettuale, un sapere che nasce da uno stato di coscienza non ordinario che emerge da – ed è di fatto – uno stato meditativo. Che la “conoscenza assoluta” esista è testimoniato e tramandato da grandi illuminati e persone di grande saggezza della storia di ogni parte del mondo.
Tutto ciò è anche indicato dalla ricerca persino in campo psicologico. Come scrisse William James:

La normale coscienza dello stato di veglia, che chiamiamo coscienza razionale, è soltanto un tipo di coscienza particolare, mentre tutto intorno a essa, separate da schermi sottilissimi, esistono forme potenziali di coscienza completamente diverse.

Una volta compreso lo scopo di alto livello di ogni vera forma di meditazione, c’è un’unica via che si può intraprendere per chi voglia scoprire – per dirla alla William James – l’altra “forma di coscienza”. Tale via è la pratica, a prescindere dal credo e dal metodo. Diventare dei meditatori non porta a distaccarsi dal mondo ordinario fisico, rinchiudendosi dentro una grotta, facendo gli eremiti su una montagna o ripetendo continuamente qualche frase, oggi priva di senso, in una qualche lingua morta. Nulla di tutto ciò trova realtà nella conoscenza lasciataci in eredità da coloro che riuscirono a elevarsi, trovando l’illuminazione.

L’unica cosa richiesta per coloro che vogliono fare un percorso spirituale è la costanza e vi sono diversi modi per averla anche durante la normale quotidianità. Se giungere alla verità assoluta fosse prerogativa esclusiva di coloro che possono isolarsi in un monastero di montagna o di coloro che possono passare la vita a studiare le sacre scritture significherebbe che il divino è elitario… e così non è. Certamente unire l’ambito spirituale in una dimensione di vita divenuta ompletamente materialistica, come quella odierna, non è semplice, ma non è certamente impossibile.

Inoltre, il fatto – ovvio per chiunque si tenga informato – che l’umanità non sia divenuta più saggia negli ultimi duemila anni, nonostante un prodigioso aumento della conoscenza razionale – che ha preso a pugni la vera dimensione spirituale – dimostra chiaramente l’impossibilità di passare agli altri, attraverso parole e concetti, la conoscenza assoluta che è innominabile. E, a onor del vero, persino l’idea che l’umanità riesca a divenire più rispettosa verso la vita altra, grazie a parole e concetti, appare di per sé un’illusione. Pare quindi evidente che per il bene dei popoli è necessario ritrovare una vera dimensione spirituale (yin) all’interno di una vita divenuta eccessivamente materiale (yang).

Written by

Valerio Bellone

Valerio Bellone studia e fa continua ricerca sul Taichi Chuan, il Qi Gong e la Meditazione. È autore del primo e unico saggio mai scritto in italiano sui primi tre Classici del Taijiquan cinesi.
Il suo percorso inizia con il wushu moderno e successivamente si sposta alla fonte della tradizione del Taiqjiuan studiando inizialmente lo stile di Cheng Man Ching e successivamente lo stile madre originale della famiglia Yang.
Tiene regolarmente corsi di Taichi, Qi Gong e Meditazione nella città di Palermo e scrive articoli di divulgazione su queste materie.