Quando nei gruppi social dedicati al tema del Taijiquan qualcuno si incuriosisce alla pratica e chiede informazioni per intraprendere questo percorso psicofisico, spesso si assiste a un fenomeno ricorrente: molti si affrettano a offrire consigli, suggerendo quale strada intraprendere, quale sarebbe il “falso Taijiquan” e quale invece il “vero Taijiquan”. In queste discussioni sembra che ogni praticante sia fermamente convinto che il proprio approccio — o quello della propria scuola — rappresenti l’unica versione autentica di questa disciplina.
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Per questo motivo, tempo fa, avevo scritto una sorta di aforisma, che riassume con ironia questa tendenza:
Quanti insegnanti di Taijiquan servono per versare dell’acqua in un bicchiere? La risposta è 100. Uno versa l’acqua, mentre gli altri 99 scuotono la testa e commentano: “Questo non è il modo corretto che mi è stato insegnato”.
Questa battuta, seppur leggera, evidenzia un problema più profondo: l’atteggiamento di superiorità, spesso alimentato dall’ignoranza, che porta molti praticanti a disprezzare o sminuire percorsi diversi dal proprio. Tuttavia, la superbia è lontana dalla vera essenza del Taijiquan, che si fonda sull’equilibrio, sull’umiltà e su una costante ricerca di conoscenza autentica.
Le radici filosofiche del Taijiquan
La pratica del Taijiquan affonda le sue origini nella filosofia daoista e nelle antiche pratiche meditative orientate al benessere psicofisico. Solo in tempi successivi — rispetto alla sua nascita come disciplina filosofica — il Taijiquan è stato codificato anche come arte marziale, assumendo il nome di Taiji Quan. Tuttavia, è fondamentale comprendere che la sua essenza più profonda risiede nei principi daoisti, che promuovono un relativismo intellettuale e la consapevolezza della natura mutevole della realtà.
Questo relativismo non implica che tutte le pratiche siano uguali o prive di valore intrinseco, ma piuttosto sottolinea che non esistono verità assolute e immutabili. Ogni verità è relativa al contesto storico, culturale e personale in cui si manifesta. Tuttavia, tutte le verità derivano da un’unica matrice: l’eterno mutamento delle forze complementari, lo yin e lo yang, che si armonizzano per ritornare all’uno.
Il percorso del Taijiquan si basa proprio sull’armonizzazione di queste polarità per raggiungere l’unità. Ma sia la polarità che l’unità sono emanazioni della stessa origine, il Dao, una forza ineffabile e indefinibile che è alla base di tutto ciò che esiste. Come si potrebbe mai discutere o comprendere pienamente questa fonte primordiale? Nemmeno un dio potrebbe definirla, figuriamoci un essere umano comune.
Nel presente libro i Classici del Taijiquan sono tradotti e commentati quelli che in Cina sono tutt’oggi considerati i primi e più importanti manoscritti della storia del Taijiquan, quelli di Wang Zongyue, Wu Yuxiang e Li Yiyu. La traduzione dei tre manuali originali è accompagnata da spiegazioni approfondite di ogni frase, da un punto di vista pratico, teorico e linguistico. Ogni passaggio del libro è inoltre supportato da un commentario nel quale vengono approfonditi anche gli aspetti di natura filosofica e storico culturale che sono indispensabili per una corretta comprensione della materia trattata.
Nel libro i Classici del Taijiquan sono tradotti e commentati quelli che in Cina sono tutt’oggi considerati i primi e più importanti manoscritti della storia del Taijiquan.
Le diverse interpretazioni del Taijiquan
Nell’ampio universo di questa disciplina, oggi conosciuta come Taijiquan, esistono numerosi approcci e interpretazioni. Alcuni gruppi si concentrano sullo studio del taolu (le sequenze codificate di movimenti), utilizzandolo come strumento per esplorare e conoscere meglio parti di sé. Altri prediligono il lavoro con il tuishou (esercizi a coppia), per sviluppare una consapevolezza più profonda della propria relazione con gli altri.
Ci sono praticanti che si dedicano al Taijiquan come pratica per il benessere fisico e la longevità, mentre altri lo utilizzano come sport coreografico o competitivo. Alcuni gruppi, invece, si focalizzano sulla conservazione dell’aspetto marziale, cercando di mantenerne viva la funzione originaria come arte di combattimento. Ma quale di questi approcci rappresenta il “vero Taijiquan”?
La risposta dipende dalle aspettative e dagli obiettivi personali. Ogni interpretazione può essere valida quando soddisfa i bisogni e i desideri di chi pratica. Tuttavia, il pensiero daoista invita a vivere senza aspettative e senza desideri — un principio noto come wu-wei. Questo non significa rinunciare a perseguire i propri obiettivi, ma imparare a dare il giusto peso alle cose. Gli strumenti (taolu, tuishou, ecc.) devono essere riconosciuti come tali e non scambiati per il fine ultimo.
La saggezza dei Classici del Taijiquan
Una risposta su cosa dovrebbe essere la pratica del Taijiquan ci viene offerta dai testi antichi. Nel primo manuale manoscritto attribuito a Wang Zongyue, che ho avuto il privilegio di tradurre e spiegare nel mio libro, insieme agli altri due Classici del Taijiquan di Wu Yuxiang e Li Yiyu, emergono indicazioni chiare sulla natura della disciplina.
Secondo Wang, il Taijiquan, a livello base, è un’arte marziale. Tuttavia, quando si padroneggiano determinate caratteristiche, si accede a un livello superiore, dedicato alla coltivazione della salute e della longevità. Ma Wang sottolinea anche che il vero Taijiquan è molto più di un semplice metodo per mantenere il corpo in equilibrio o ritardarne il decadimento. Il corpo fisico, per quanto curato, ha una scadenza inevitabile. La pratica, dunque, non dovrebbe limitarsi a preservare l’esistenza materiale, ma puntare a qualcosa di più profondo.
Il Taijiquan è, infatti, un percorso spirituale che supera le dimensioni del combattimento e persino della salute. È una ricerca che diventa parte integrante della vita di ogni vero praticante. Inizialmente può essere percepito come uno strumento funzionale a percorrere una via, ma con il tempo si trasforma esso stesso nella Via. Quando si confonde lo strumento con il fine, però, si rischia di non oltrepassare mai il “cancello del Taiji”.
La Via oltre gli strumenti
Il “cancello del Taiji” (da cui nasce in nome della scuola di Taichi a Palermo Taiji Gate) rappresenta una metafora per il passaggio dalla mera tecnica alla comprensione profonda della disciplina. Ogni strumento — che sia il taolu, il tuishou, o l’aspetto marziale — è utile nel percorso, ma non deve mai essere scambiato per il percorso stesso. Solo armonizzando la polarità dello yin e dello yang, e riconoscendo l’unità che li sottende, si può intraprendere la Via autentica del Taijiquan.
Questa comprensione non è solo teorica, ma emerge dalla pratica quotidiana e dalla riflessione costante. Richiede tempo, dedizione e un atteggiamento di apertura verso il mistero che permea questa disciplina. Per questo motivo, chi si avvicina al Taijiquan dovrebbe evitare di dare ascolto a chi proclama di possedere l’unica verità, sminuendo le altre scuole o approcci. La vera conoscenza nasce dall’esperienza diretta e dall’umiltà, non dalla presunzione.
In conclusione, il Taijiquan è una disciplina che offre molteplici livelli di comprensione e applicazione. Che lo si pratichi per la salute, per l’arte marziale o come percorso spirituale, l’importante è non perdere di vista il fine ultimo: l’armonizzazione con il Dao, la fonte primordiale di ogni cosa. La Via è aperta a tutti, ma solo chi sa oltrepassare il cancello potrà davvero comprendere la profondità di questa antica arte.