Il Taijiquan e il suo legame con il cambiamento
Il Taijiquan, e il background culturale che lo sostiene, trova le sue radici nel Libro dei Mutamenti (Yijing). Questa base filosofica insegna ad accettare il continuo mutare delle cose, un concetto che si allinea con l’idea buddhista di impermanenza. Il cambiamento può portare con sé momenti tanto dolorosi quanto gioiosi, stati tanto liberi quanto oppressivi.
Yang Chengfu: adattamento e innovazione
Yang Chengfu (1883–1936), rappresentante della terza generazione della famiglia Yang e creatore della nota forma 108, è ricordato come un maestro straordinario. In un periodo di profondi cambiamenti e turbolenze nella Cina del tempo, Yang seppe adattarsi alle circostanze culturali, sfruttandole per diffondere il Taijiquan anziché lasciare che scomparisse.
Il declino delle tradizioni e l’impatto delle politiche culturali
Con la caduta della dinastia Qing e l’abdicazione forzata di Puyi, ultimo imperatore della Cina, la Repubblica di Cina (1912-1949) segnò un punto di svolta per molte tradizioni. Alcune pratiche furono ostracizzate, specialmente nelle cerimonie pubbliche, ma non furono completamente cancellate. Nonostante ciò, con l’avvento del comunismo autoritario di Mao Zedong nel 1949, alcune arti tradizionali come il Taijiquan continuarono a essere praticate, sebbene spesso a porte chiuse o in ambienti privati.
Secondo alcune fonti, Mao stesso studiò il Taijiquan con il maestro Niu Chunming, un allievo di Yang Chengfu. Questa connessione mostra come, nonostante le politiche ufficiali, alcune tradizioni riuscirono a sopravvivere, anche durante l’epoca maoista. Va però notato che già a partire dal 1912 alcune arti vennero progressivamente messe da parte, un fenomeno che raggiunse il culmine tra il 1949 e il 1976.
Per capire il quadro storico, può essere utile leggere anche la biografia del Maestro Cheng Man Ching.
Il Taijiquan tra repressione e resistenza
Sebbene si racconti che il Taijiquan non potesse essere praticato apertamente durante il periodo maoista, molte testimonianze contraddicono questa visione. Numerosi maestri insegnavano nei parchi pubblici tra il 1912 e il 1949, e non esistono prove di persecuzioni dirette contro i praticanti di questa disciplina. I maestri che lasciarono la Cina lo fecero per ragioni politiche, non per la loro attività di insegnamento.
Dagli anni ’90, paradossalmente, lo stesso regime che aveva marginalizzato molte tradizioni proclamò il Taijiquan come “tesoro nazionale”. Tuttavia, questa tardiva celebrazione non compensa il lungo periodo in cui l’arte fu costretta a sopravvivere in condizioni difficili.
La narrazione storica distorta
A partire dagli anni ’90, lo storico Tang Hao, vicino al governo, promosse l’idea che il Taijiquan fosse nato a Chenjiagou, attribuendolo alla famiglia Chen. Questa narrazione, pur contenendo elementi di verità, rappresenta un falso storico.
Il termine “Taijiquan” iniziò infatti a essere utilizzato e diffuso soltanto a partire dalla generazione di Yang Luchan, Maestro che divenne celebre a Pechino. Prima di Yang Luchan, gli stili di famiglia del Taijiquan, come il Chen e lo Yang erano noti come un’arte marziale antica spesso nominata Nei Jia Quan. Questa disciplina fu in seguito ribattezzata in base ai luoghi e ai tempi, assumendo nomi come Changquan, Shisanshi e Bamen Wubu.
A partire dagli anni ’90, si diffuse l’informazione, promossa in precedenza dallo storico Tang Hao – sostenitore della rivoluzione culturale cinese e del nuovo regime di Mao – che il Taijiquan fosse nato a Chenjiagou come creazione della famiglia Chen (puoi leggere l’articolo sull’origine del Taijiquan in merito). Sebbene questa versione racconti solo una parte della storia del Taijiquan, è stata ufficialmente adottata dal governo cinese e inserita nei libri di testo scolastici. Di conseguenza, oggi molte persone in Cina, al di fuori del circuito dei veri studiosi dell’arte, credono erroneamente che la storia del Taijiquan abbia avuto inizio con la famiglia Chen. Informazione che nel corso del tempo è stata laragamente diffusa anche in occidente.
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Nel presente libro, I tre CLassici del Taijiquan di Wang, Wu e Li, sono tradotti e commentati quelli che in Cina sono tutt’oggi considerati i primi e più importanti manoscritti della storia del Taijiquan, quelli di Wang Zongyue, Wu Yuxiang e Li Yiyu. La traduzione dei tre manuali originali è accompagnata da spiegazioni approfondite di ogni frase, da un punto di vista pratico, teorico e linguistico. Ogni passaggio del libro è inoltre supportato da un commentario nel quale vengono approfonditi anche gli aspetti di natura filosofica e storico culturale che sono indispensabili per una corretta comprensione della materia trattata.
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Un’opera di resistenza culturale
A ogni modo, nonostante le difficoltà storiche, il Taijiquan continuò a essere praticato e trasmesso anche nei periodi di maggiore repressione. Molti maestri riuscirono a preservare questa tradizione adattandosi alle circostanze storiche. La loro resilienza rappresenta un esempio di come la cultura possa sopravvivere e prosperare anche in tempi difficili.
Un monito dalla storia
Qualsiasi rivoluzione culturale totalitaria – comunista, fascista, nazista o di altra natura – si basa sull’ignoranza di massa, spesso alimentata intenzionalmente. La repressione delle espressioni culturali e artistiche è un segnale di questa mediocrità imposta. Non è un caso che i regimi totalitari ricorrano frequentemente al rogo dei libri, simbolo di una volontà di distruzione della cultura e all’emarginazione degli intellettuali.
La storia recente, dalla Cina all’Europa, ci mette in guardia: quando l’ignoranza si mescola al malcontento, le società diventano pericolose per sé stesse. È essenziale promuovere la conoscenza e il rispetto per la cultura, affinché il passato non si ripeta.