Spesso si sente parlare dei segreti del Taijiquan, ma esistono davvero?
Effettivamente ne esistono molti e sono legati per lo più alle consapevolezze corpo-mente profonde e, in altri casi, a determinati insegnamenti che storicamente venivano trasmessi soltanto ad alcuni allievi, ovvero quelli che si dimostrano rispettosi del percorso intrapreso. Cosa significa “rispettosi” in questo caso? Avere dedizione, passione e fiducia, dimostrando nel tempo di non mollare la ricerca intrapresa e di avere un animo nobile, non aggressivo e non violento.
Quello del quale difficilmente però si parla e del segreto più importante del Taijiquan utile a ogni persona che si accinge a iniziare questa pratica, ovvero il “concedersi di sbagliare”. Cercherò quindi di condividere una riflessione in merito a questo tema nelle righe che seguono.
È comprensibile la voglia del sapere e della scoperta. Tutti vorremo comprendere sin da subito quel che nel presente sembra essere il livello avanzato di un’arte. Questo è lo spirito che ha sempre spinto gli esseri umani ad andare oltre i propri presunti limiti, creando alcune volte cose meravigliose e in altre occasioni cose distruttive. Cercando successivamente l’equilibrio.
Smorzare l’entusiasmo altrui dicendo che ci si deve appassionare a ciò che è alla base, “perchè questa è la via”, non è il modo migliore con il quale un insegnante può ispirare gli altri. Nessuno nella storia dell’uomo ha intrapreso una qualsiasi arte innamorandosi della parte più elementare.
Si viene ispirati dalla voglia di scoprire osservando le vette dei monti, non guardando le pendici facili da esplorare. Il cammino si intraprende con la voglia di scoprire cosa si nasconde tra le nuvole in cima alla montagna. Eppure è l’esplorazione lungo il percorso che dona nuove consapevolezze. La consapevolezza è quindi una conseguenza naturale del cammino, non un’improvvisa illuminazione che si ha al raggiungimento della vetta, quando si fa il percorso frettolosamente. Tutto quello che si comprende arrivati in vetta non è altro che la consapevolezza maturata lungo il cammino.
Ognuno, percorrendo un cammino, è in grado di comprendere che non si può giungere in cima facendo un balzo. Questa consapevolezza però si acquisisce attraverso il fare (il cammino), non basta saperlo perchè lo si è sentito dire o lo si è letto da qualche parte. Il saggio sa che nessuno può infondere saggezza negli altri. La vera saggezza va nutrita dal fare.
Come tutto il resto, anche la saggezza non la si trova in cima alla montagna, ma la si acquisisce lungo il percorso. Bisogna camminare, cercare scorciatoie, quindi inciampare, cadere e farsi male. Il tutto consente di imparare dai propri errori. Gli errori, i fallimenti, i tentativi di trovare scorciatoie, fanno tutti parte del cammino. Non si può dire a chi inizia un percorso “non devi sbagliare, non devi provare a prendere scorciatoie, devi fare tutto bene seguendo il percorso corretto”. Qual è il percorso corretto?
A chi intraprende un cammino si dovrebbe dire: “vai, sbaglia e comprendi dai tuoi errori”. Il cammino è personale, non è come un software da installare nella mente degli altri. Ognuno è quindi Maestro di sé stesso e non esiste una sola via per giungere alla comprensione. Esistono più vie e sono tutte valide, purché le si intraprenda con dedizione e voglia di scoperta.
Ogni cammino porta inevitabilmente a consapevolezze che sono comuni a ogni viaggiatore.
I veri Maestri non sono altro che ponti della conoscenza. Chi insegna lo fa per dare strumenti agli altri, non per dirgli sin da subito qual è il modo corretto di usare tali strumenti. L’utilizzo di ogni strumento è personale. Viceversa non ci sarebbe l’arte, bensì una materia morta che passa da una generazione all’altra in modo statico e stagnante, non mutevole. La mutevolezza è uno dei concetti base sui quali si fonda il Taijiquan che è una emanazione pratica del libro dei mutamenti, l’Yijing.
Quando si ha la pretesa di non sbagliare, si perde la possibilità di capire qualcosa dello stesso esistere. Viaggiare volendo sapere tutto, ancor prima di essere partiti, è il modo migliore di non scoprire mai nulla di diverso da quel che si presume di conoscere. Questo atteggiamento porta verso la superbia, la mancanza di umiltà, la presunzione e un’ignoranza spacciata per conoscenza.
Nel mondo delle arti marziali tradizionali – ovvero quelle che si sono tramandate mantenendo vive le consapevolezze sviluppatesi grazie a generazioni di praticanti – molti credono di poter insegnare agli altri solo perché hanno strutturato bene qualche abilità. Se bastasse qualche abilità ben affinata per potere insegnare, sarebbe un mondo di insegnanti senza allievi.
Chi sottintende o dice di essere arrivato sulla cima della montagna probabilmente ha fatto un cammino breve o non è nemmeno mai uscito dalla porta di casa, metaforicamente parlando. Senza errori non si impara nulla di profondo e, di conseguenza, non si diviene umili. L’umiltà serve a capire che nessuno è meglio di nessun altro. Siamo tutti figli sotto lo stesso cielo, capaci di fallire in ogni momento. La nostra convivenza non si dovrebbe basare su una piramide gerarchica della conoscenza ma su una condivisione della stessa.
Ci si dovrebbe fare ispirare dagli altri? Certamente, ma senza farsi accecare da sogni di gloria legati al successo personale, di una cultura superficiale e appariscente, o al riconoscimento da parte della comunità che ci circonda. Le illusioni di grandezza o invincibilità – che sia questa mentale e/o fisica – poco hanno a che fare con il cammino della consapevolezza.
Non esiste il super mercato della saggezza e non esiste alcun modo di capire i segreti del Taijiquan se non rimanendo in cammino, sbagliando e mettendo in discussione le proprie certezze continuamente.
Ciò detto, uno problemi tipici legati a una corretta comprensione del Taijiquan, che determinano una pratica vera da una finta, è la comprensione dei suoi principi. A tal scopo è necessario avere due requisiti di base, utili ad affrontare il cammino:
1. un insegnante che a sua volta conosca la vera pratica tradizionale.
2. Studiare i Classici del Taichi Chuan che sono da sempre, l’unico mezzo con il quale si può fare un salto di qualità nella propria pratica, comprendendo ciò che è giusto seguire e ciò che non va fatto così da evitare di andare fuori strada rispetto alla pratica originale.
Sebbene diversi libri usino spesso il titolo “Classici del Taichi”, nessuno di fatto tratta i testi Classici. Per lo più sono solo reinterpretazioni e testi personali di autori che hanno citato alcune frasi dei Classici. Attualmente esiste soltanto un libro scritto in italiano sui Classici del Taijiquan, nei quali sono tradotti dal cinese, i testi originali e vengono fornite le spiegazioni da un punto di vista storico, filosofico linguistico e pratico. Qusesto testo, che è il saggio più completo mai scritto in merito al Taijiquan si intitola: I tre Classici del Taijiquan di Wang, Wu e Li – Traduzione e commentario.