Il pensiero umano, nel corso della sua evoluzione, ha spesso cercato di comprendere la realtà attraverso concetti che esplorano la relazione tra ciò che è essenziale e ciò che è manifestato. In questo contesto, i concetti cinesi di Ti (體) e Yong (用), così come gli equivalenti occidentali di Atto e Potenza della filosofia aristotelica, offrono spunti significativi di riflessione. Se da un lato il Taijiquan incarna questi principi nella sua pratica, dall’altro essi rappresentano una guida filosofica per comprendere sia l’essenza dell’arte marziale sia il pensiero che la sottende.
La premessa: una verità relativa
Nel panorama delle arti marziali, il Taijiquan si distingue non per una presunta superiorità tecnica o combativa, ma per il suo approccio unico che combina lavoro interno, introspezione e benessere psicofisico. Tuttavia, questa essenza è stata spesso fraintesa, diluita o persino snaturata, soprattutto quando insegnata in Occidente. La tendenza di alcuni maestri cinesi del passato a ibridare il Taijiquan con altre discipline, per sopperire a lacune o adattarsi a un pubblico occidentale, ha creato un “finto Taijiquan”, distante dai suoi principi originari.
La vera pratica del Taijiquan non si limita alla ricerca della vittoria, come accade negli sport da combattimento. Essa richiede una disposizione mentale di apertura e di abbandono delle esperienze pregresse, affinché il praticante possa accogliere l’arte come un “bicchiere vuoto”. È solo attraverso questa prospettiva che si può comprendere la natura profonda del Taijiquan, un’arte marziale che trova il suo massimo valore nell’armonia tra corpo e mente, e nella ricerca del benessere a lungo termine.
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Ti e Yong: l’essenza e la funzione nella filosofia cinese
Nella filosofia cinese, Ti e Yong rappresentano rispettivamente l’essenza intrinseca e la funzione manifesta. Questo concetto, centrale sia nel confucianesimo che nel taoismo, sottolinea l’unità inseparabile tra ciò che una cosa è nella sua natura fondamentale (Ti) e come essa si manifesta o agisce nel mondo (Yong).
Ti (Essenza)
Ti è la sostanza immutabile, la vera natura di una cosa. È la base da cui tutto deriva, ciò che esiste indipendentemente dalla funzione o dall’uso. Nel Taijiquan, ad esempio, Ti si manifesta attraverso la pratica lenta e meditativa, in cui il praticante si concentra sull’affondare il qi e sviluppare il Jin (forza interna). Questo lavoro preliminare è essenziale per creare una radice solida e autentica.
Yong (Funzione)
Yong è l’aspetto dinamico, il modo in cui l’essenza si traduce in azione. Nel Taijiquan, ciò si riflette nella pratica veloce (Xiaojia), che applica le forze sviluppate nella forma lenta. La radice è nei piedi, l’emissione nelle gambe, il controllo nello Yao (bacino), e la forma finale si manifesta nelle dita, come descritto nei Classici del Taijiquan.
Questa relazione tra Ti e Yong sottolinea che la funzione non può esistere senza un’essenza solida, e che l’essenza stessa trova il suo compimento solo nella manifestazione.
Nel libro i Tre Classici del Taijiquan di Wnag, Wu e Li, sono tradotti e commentati quelli che in Cina sono tutt’oggi considerati i primi e più importanti manoscritti della storia del Taijiquan. La traduzione dei tre manuali originali è accompagnata da spiegazioni approfondite di ogni frase, da un punto di vista pratico, teorico e linguistico. Ogni passaggio del libro è inoltre supportato da un commentario nel quale vengono approfonditi anche gli aspetti di natura filosofica e storico culturale che sono indispensabili per una corretta comprensione della materia trattata.
Nel libro i Tre Classici del Taijiquan di Wnag, Wu e Li, sono tradotti e commentati quelli che in Cina sono tutt’oggi considerati i primi e più importanti manoscritti della storia del Taijiquan.
Atto e Potenza: la prospettiva occidentale
Nella filosofia occidentale, Aristotele ha sviluppato i concetti di Atto (energeia) e Potenza (dynamis) per spiegare la natura dell’essere e il processo di divenire. Questa distinzione rappresenta un cardine del pensiero metafisico occidentale, offrendo una prospettiva lineare e gerarchica sulla realtà.
Potenza: la latente possibilità
La Potenza è ciò che un ente può essere, ma non è ancora. Rappresenta uno stato di possibilità, un potenziale intrinseco in attesa di essere realizzato. Ad esempio, un seme contiene in sé la potenza di diventare un albero; questa possibilità, però, richiede condizioni favorevoli e un processo di trasformazione per manifestarsi. La potenza non è visibile o tangibile, ma è reale, come una predisposizione intrinseca o una capacità latente.
Nel contesto umano, la potenza è legata al concetto di virtù o talento non ancora sviluppato. Una persona può avere la capacità di dipingere un capolavoro o scrivere un grande romanzo, ma finché questa possibilità non si traduce in azione concreta, rimane potenza.
Atto: la realizzazione della possibilità
L’Atto, al contrario, è ciò che un ente è attualmente, il pieno compimento della sua natura. Ritornando all’esempio del seme, l’albero maturo è l’atto: la potenzialità contenuta nel seme si è trasformata in una realtà compiuta. Per Aristotele, l’atto rappresenta uno stato di perfezione, il raggiungimento di uno scopo o di un fine (telos).
L’atto, quindi, è strettamente connesso al concetto di realizzazione, un tema fondamentale nel pensiero occidentale. Questa visione porta a una gerarchia implicita: la potenza è subordinata all’atto, poiché quest’ultimo è il compimento pieno dell’essere. La transizione da potenza ad atto richiede un agente esterno o un motore, che mette in moto il processo di trasformazione.
Il Dualismo intrinseco del pensiero occidentale
La relazione tra atto e potenza è rappresentativa di un approccio dualistico e gerarchico tipico del pensiero occidentale. Esiste una netta distinzione tra ciò che “è” e ciò che “può essere”, con un movimento lineare che va dalla possibilità alla realizzazione. Questa visione si riflette in molte aree della cultura occidentale, come la scienza, la tecnologia e l’etica, dove l’obiettivo è il progresso verso uno stato più avanzato o perfetto.
Tuttavia, questo modello ha anche generato divisioni, contrapponendo essenza e divenire, materia e spirito, corpo e mente. La tendenza a privilegiare l’atto rispetto alla potenza ha spesso portato a sottovalutare l’importanza dei processi preparatori e della potenzialità non espressa, creando uno squilibrio che ha influenzato sia il pensiero che la pratica.
Il Taijiquan come sintesi di Ti e Yong
Il Taijiquan offre una sintesi unica di questi principi, dimostrando che l’essenza (Ti) e la funzione (Yong) possono coesistere armoniosamente in una pratica che unisce introspezione e azione.
La pratica lenta: Ti come base essenziale
La pratica lenta, caratteristica del Taijiquan, rappresenta l’essenza dell’arte. Qui il praticante lavora sull’affondare il qi e sviluppare il Jin, senza fretta o pressione. È un processo di coltivazione, dove il corpo si radica e si connette con la terra, preparando il terreno per la manifestazione. Questa fase richiede pazienza e dedizione, poiché il Jin autentico non può essere forzato o simulato.
La pratica veloce: Yong come manifestazione dinamica
Una volta sviluppata una base solida, il praticante può passare alla pratica veloce, dove l’energia interna si traduce in movimenti fluidi e precisi. Qui Yong entra in gioco, mostrando come l’essenza si traduce in azione. Tuttavia, è fondamentale ricordare che la pratica veloce non è una dimostrazione di forza o abilità esteriore; piuttosto, è un’espressione naturale dell’energia interna coltivata nella fase precedente.
L’equilibrio tra Ti e Yong
Nel Taijiquan, l’equilibrio tra Ti e Yong è fondamentale. Senza un’essenza solida, la funzione diventa superficiale e priva di autenticità. Al tempo stesso, un’essenza che non si manifesta rimane incompleta. Questo equilibrio riflette la filosofia cinese dell’interconnessione, dove ogni parte dipende dall’altra per creare un tutto armonioso.
Conclusione: l’unità del pensiero e della pratica
Il confronto tra Ti e Yong nella filosofia cinese e Atto e Potenza in quella occidentale non è solo un esercizio teorico, ma offre lezioni pratiche per il Taijiquan e per la vita. Mentre la filosofia occidentale ci insegna l’importanza del progresso e della realizzazione, quella cinese ci ricorda che ogni azione deve essere radicata in un’essenza autentica e armoniosa.
Per il praticante di Taijiquan, questo significa abbracciare l’arte nella sua totalità, riconoscendo che la vera forza non risiede nella vittoria o nella dimostrazione, ma nell’equilibrio tra essenza e manifestazione. Solo così il Taijiquan può diventare non solo una pratica marziale, ma una via per l’armonia e il benessere a lungo termine.