Se accettiamo che ogni cosa nell’universo è un’espressione di un “Tutto” che si manifesta e si auto-indaga (in merito puoi leggere L’universo indaga sé stesso: ogni cosa è un’espressione del Tutto), sorge inevitabilmente una domanda etica: se ogni forma di vita è parte di questo processo, è giusto cibarsi di altre creature togliendo loro la vita? E quale valore dovremmo attribuire alle diverse forme di vita – un animale, una pianta, un organismo microscopico? Esistono risposte univoche, o il cibarsi stesso è parte integrante del ciclo del tutto che si trasforma continuamente?
Queste domande ci portano a riflettere non solo sulla nostra relazione con il cibo, ma anche sul nostro ruolo nel grande flusso dell’esistenza. Vivere significa inevitabilmente nutrirsi, e questo significa trasformare vita in altra vita. La questione, quindi, non è se cibarsi sia giusto o sbagliato, ma come farlo in modo consapevole, compassionevole e rispettoso dell’interconnessione universale.
Il ciclo della vita: nutrirsi come parte del tutto
Ogni forma di vita sulla Terra, senza eccezioni, si nutre di altre forme di vita. È un fatto inevitabile, non solo biologico, ma anche esistenziale. Quando una creatura si nutre, partecipa a un ciclo universale in cui vita e morte si trasformano l’una nell’altra. Non esiste un “esterno” al tutto: persino la decomposizione, che segue la morte, restituisce energia e materia al ciclo dell’esistenza.
In questa prospettiva, cibarsi di altre creature non è una violazione dell’armonia del tutto, ma un’espressione naturale del suo funzionamento. La vita, in tutte le sue forme, si regge su un costante processo di trasformazione. Ogni organismo prende ciò che gli serve per sopravvivere e, alla fine del suo ciclo, restituisce ciò che ha preso. Questo è uno dei flussi dell’universo.
Il valore di ogni vita: piante, animali e antropocentrismo
Se ogni cosa è una manifestazione del tutto, non esiste una gerarchia intrinseca tra le varie forme di vita. Tuttavia, gli esseri umani tendono a fare distinzioni basate su una percezione antropocentrica. Spesso attribuiamo maggiore valore agli animali rispetto alle piante perché li percepiamo come più simili a noi. Gli animali hanno occhi, esprimono emozioni visibili, reagiscono in modi che riconosciamo. Le piante, invece, sembrano più distanti dalla nostra esperienza.
Ma questa distinzione non regge di fronte a una comprensione più ampia, meno offuscata, del Tutto. Le piante, ad esempio, comunicano chimicamente, reagiscono agli stimoli e possiedono una forma di sensibilità che la scienza sta appena cominciando a esplorare. Anche un organismo microscopico ha un ruolo fondamentale nell’ecosistema globale. Quando per esempio calpesti o zappi la terra per coltivare le piante, inevitabilmente, e senza rendertene conto, uccidi crerature molto piccole come gli insetti. Eppure, non esiste una forma di vita priva di valore: tutto ciò che esiste contribuisce al funzionamento del tutto.
Attribuire un valore maggiore alla vita animale rispetto a quella vegetale, o viceversa, è dunque una distinzione pratica, che non ha nulla a che vedere con un’etica che si rivela falsa, un’autoinganno (potresti voler leggere in merito anche L’autoinganno: un meccanismo umano fondamentale?). Ogni forma di vita partecipa al ciclo universale e, in quanto tale, merita rispetto.
Il controsenso della purezza assoluta
L’idea di evitare completamente di nuocere ad altre forme di vita, se pur nobile, risulta un’intenzione irrealizzabile. Anche il semplice atto di respirare o di bere acqua implica l’assimilazione e la distruzione di altri organismi viventi. Ogni forma di vita, per sopravvivere, deve necessariamente prendere qualcosa da un’altra. Questo non è un fallimento, ma una condizione intrinseca dell’esistenza.
Ciò non significa che la questione etica sia irrilevante. Il problema non è “se” cibandoci causiamo la morte, ma “come” e “quanto” lo facciamo. Una vita consapevole richiede di riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni così da cercare di ridurre la sofferenza e lo spreco. È qui che entra in gioco il concetto di equilibrio e di pratiche consapevoli, come per esempio evitare di mangiare carne proveniente da allevamenti intensivi oppure non opporsi alla ricerca nel campo della carne sintetica, coltivata, artificiale.
Scegliere cibi migliori non significa dover passare ore al supermercato a leggere etichette o aderire rigidamente a una dieta particolare: bastano le informazioni fornite in questo libro. “Come mangiamo” illustra i tipi di agricoltura e allevamento oggi praticati e ci guida alle scelte di consumo più confacenti alle esigenze e al budget di ciascuno. Sulle tracce di tre famiglie campione che seguono regimi alimentari diversi, Peter Singer e Jim Mason ripercorrono la filiera produttiva di carne, pesce, formaggi, uova, fino agli oscuri vertici dell’industria del cibo; svelano i segreti dei metodi di lavorazione, mostrano quanto poco affidabili siano i certificati di qualità sbandierati sulle confezioni, si domandano se acquistare biologico, equosolidale o locale sia davvero una soluzione, valutano la possibilità di abbandonare la dieta standard e diventare «onnivori coscienziosi» oppure di abbracciare una dieta vegetariana o vegana…
Compassione, moderazione e consapevolezza
La risposta a queste riflessioni sembra risiedere nella moderazione e nella compassione. Il rispetto dell’equilibrio ci spinge quindi a prendere solo ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, evitando l’eccesso e lo spreco. La compassione, invece, ci invita a considerare l’impatto delle nostre azioni sulle altre forme di vita, cercando di minimizzare la sofferenza che causiamo, tendendo verso l’annullamento della sofferenza stessa. Questo oggi significa:
- Non cibarsi per divertimento o capriccio
Molto del consumo moderno è guidato dal desiderio di piacere, abitudine o lusso. Mangiamo per il gusto di farlo, spesso in eccesso, senza considerare il sacrificio che questo comporta. Ridurre il consumo superfluo è un primo passo per vivere in modo più consapevole. - Ridurre la sofferenza
Anche se non possiamo evitare del tutto di causare sofferenza, possiamo scegliere modi più compassionevoli di nutrirci. Questo include il supporto a pratiche agricole e di allevamento che rispettano il più possibile la dignità delle creature coinvolte. - Riconoscere il sacrificio
Ogni pasto implica un sacrificio, che merita rispetto. Riconoscere questo sacrificio significa essere consapevoli del ciclo della vita e partecipare ad esso con umiltà.
La nutrizione è un’espressione del tutto
Da un certo punto di vista, il cibarsi è esso stesso parte dell’indagine del Tutto su sé stesso. La vita che si nutre di altra vita non è un errore, ma una manifestazione del flusso dell’universo. Questo non giustifica la crudeltà o lo spreco, ma ci ricorda che ogni atto, compreso il nutrirsi, è parte del processo cosmico di trasformazione.
In natura, l’equilibrio è evidente. I predatori cacciano, ma non uccidono per capriccio. Gli erbivori si nutrono delle piante, ma contribuiscono alla loro rigenerazione. Persino la decomposizione restituisce vita al grande ciclo. Seguendo questo esempio, anche il nostro nutrirci dovrebbe riflettere un equilibrio: evitare l’accumulo e l’eccesso, e partecipare al ciclo con rispetto.
Una visione etica del cibarsi
Se ogni cosa è parte del Tutto, cibarsi non è né giusto né sbagliato, ma un atto inevitabile. Ciò che lo rende etico è il modo in cui lo facciamo. Moderazione, consapevolezza e compassione sono strumenti per vivere in armonia con il flusso universale. Non si tratta di rinunciare, ma di riconoscere il nostro ruolo nel ciclo della vita.
La moderazione ci invita a prendere solo ciò di cui abbiamo bisogno. La consapevolezza ci spinge a riconoscere il sacrificio implicito in ogni pasto. La compassione ci guida a ridurre la sofferenza delle creature di cui ci nutriamo. In questo modo, il nutrirsi diventa non solo una necessità, ma un atto di partecipazione rispettosa al grande ciclo del tutto.
Conclusione: accettare e rispettare il ciclo della vita
Cibarsi è parte della vita. Non possiamo evitarlo, né possiamo smettere di causare la morte di altre creature senza smettere di vivere noi stessi. Ma possiamo scegliere come farlo, vivendo con consapevolezza, compassione e rispetto per ogni forma di vita.
Accettare che la vita si regga su questo ciclo non significa abbandonare l’etica, ma viverla in modo più profondo. La moderazione e l’assenza di eccessi ci aiutano a ridurre l’impatto delle nostre azioni. Non c’è un modo per evitare del tutto la morte (potresti volere leggere l’articolo Il mistero della vita dopo la morte: oltre il sé, verso il tutto), ma possiamo scegliere di vivere in armonia con il flusso del tutto, riconoscendo che ogni essere, noi compresi, è parte di un ciclo universale in cui vita e morte si intrecciano.
Vivere significa partecipare a questo processo. Farlo con rispetto, compassione e consapevolezza è forse la più alta forma di etica che possiamo praticare.
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