Il pensiero dominante che governa il mondo degli umani – e che probabilmente è la base stessa dell’esistenza e della nostra evoluzione – è basato sull’istinto di sopravvivenza. Nelle società degli umani la sopravvivenza però non ha il punto di vista di una dolce gazzella che fugge lontana dalle fauci del leone. In questa metafora infatti agli umani piace rispecchiarsi nel leone predatore. Ovvero in colui che non ha cosa temere (apparentemente), perchè domina la catena alimentare del luogo nel quale vive.
Ci siamo evoluti nell’idea che “vincere” significa sopravvivere divorando l’altro, sottomettendolo. L’altro non è solo l’essere umano ma è qualunque forma di vita si metta sul nostro percorso. Il vincente è per gli unani colui che è più forte, che schiaccia tutti, che non ha paura di nulla. Colui che è fiero, che cammina sempre a testa alta perchè nessuno può intimorirlo. Ovvero essere un dominatore che con la forza bruta, o quella dell’intelletto, schiaccia ogni cosa lungo il suo cammino, anche quando il percorso è palesemente stupido, quando per esempio si è intrapresa la strada dell’autolesionismo personale o familiare.
Quando appare un’avversità gli umani parlano subito di andare in guerra, persino se devono combattere un virus invisibile o un’idea diversa alla propria espressa da un altra persona. Ogni cosa è un buon motivo per combattere e scontarsi, per primeggiare e per sconfiggere l’immaginario avversario di turno.
Ma persino il leone, metafora incotrastata di forza e superorià nella sua accezione maschile e machista, ha avversari che non può sconfiggere. Questi sono virus, batteri e cataclismi, ovvero alcuni dei fondamentali regolatori dell’equilibrio della vita terrestre. Come fece notare Desmond Morris nel suo dissacrante libro La scimmia nuda, quando un branco di leoni inizia a diventare troppo numeroso, emerge qualche malattia che lo decima. Perché? Perché è l’ordine naturale delle cose che riporta equilibrio dove si è andati oltre. Per esempio nel caso di un predatore che inizia a essere un po’ troppo ingombrante per il suo habitat.
Gli umani sono diventati, nel corso dei millenni, i predatori più scellerati della storia del pianeta Terra, quindi non c’è da stupirsi se di tanto in tanto sopraggiungono malattie che si diffondo a macchia d’olio o eventi naturali che intaccano i luoghi antropizzati. Sono le naturali battute darresto al nostro incessante espanderci, ovvero: al nostro eccesso di “yang”.
L’unica cosa che possiamo fare per difenderci dalla natura, è rispettarla. Abbiamo la capacità di osservare – che non significa certo limitarsi a guardare – eppure non la usiamo. Bisogna osservare al fine di comprendere le leggi palesi e quelle sottili che ci circondano, capendo che non siamo dio e che quindi se valichiamo dei limiti ci attende solo la morte, prematura. Soltanto il rispetto per le leggi della natura può farci sperare di vivere in armonia e quanto più possibile lontani dagli squilibri. Questo non signica essere passivi e fermi, in un eccesso di “yin”, significa piuttosto coesistere con le altre forme di vita facendo sì che ci sia passività nell’essere attivi e viceversa.
Una pandemia, al pari di un maremoto o un enorme incendio che inghiotte tutto, possiamo vederli come avvertimenti, battute di arresto che ci suggeriscono di rallentare o fermarci. Se reagiamo a queste avversità nel modo più stupido, che è quello di rispondere con la guerra, perché abbiamo l’urgenza di tornare al ritmo innaturale della società che abbiamo costruito, allora questo ci porterà solo verso una prossima sciagura.
Noi umani non siamo divinità ma semplici animali di un mondo che abbiamo imparato ad ammaestrare per i nostri fini. Questo gioco ci è stato consentito sino a quando non abbiamo oltreppasato il limite. Questo limite risiede nell’avere superato il senso stesso della vita, che è armonia e non guerra costante. Una guerra nella quale noi volevamo crescere mentre tutte le altre forme di vita scomparivano. Siamo davvero così stupidi da pensare di poter vivere in un deserto arido da noi stessi creato?
Nel quadro cosmico, del punto di vista di un astrofisico, la nostra esistenza, e quella della Terra, per come l’abbiamo conosciuta, valgono meno dell’importanza che noi diamo alla vita di una singola zanzara. Di conseguenza, nei tempi dell’universo, qualsiasi dissertazione filosofica sulla nostra vita umana ha lo stesso valore di un batter di ciglia. Questo è utile per ridimensionarci e per capire che siamo solo di passaggio come specie, che non siano eterni e che prima o poi scompariremo comunque vada. La nostra stella, il sole, entro un paio di miliardi di anni sarà così calda che i mari evaporeranno, poi il sole si spegnerà e sarà la fine dei nostri giochi. E questa è una visione molto ottimista nella quale vivremo ancora per due miliardi di anni, il che è assolutamente inverosimile.
Se da un lato è giusto conoscere alcuni dati al fine di ridimensionare il proprio ego specista, dall’altro è giusto guardare al presente come farebbe un etologo. Quindi dobbiamo tornare a osservarci nella metafora iniziale del leone e della gazzella, capendo che da leoni, quali ci sentiamo – non essendo però nulla più che “scimmie nude” – è il caso di non spingere troppo sull’accelleratore della crescita.
Nel daoismo c’è un principio noto come wu wei (無為). Negli antichi testi daoisti wu wei era associato all’acqua per la sua natura cedevole. La filosofia daoista, in accordo con l’Yijing (il Classico dei Mutamenti), propone che l’universo funzioni armoniosamente secondo i propri modi.
Quando qualcuno esercita una forza diretta (o contraria) utile all’ottenimento di qualcosa, in un modo che non è al passo con i cicli del cambiamento, l’armonia viene interrotta e le conseguenze che emergono sono quelle indesiderate. Il daoismo quindi afferma che si deve porre la propria volontà in armonia con l’universo naturale. In questo modo si può evitare un’interferenza potenzialmente dannosa e gli obiettivi possono essere raggiunti senza sforzo.
Questo non significa non provare a sopravvivere durante un’avversità lasciandosi morire – secondo un’idea nichilista alla Lars Von Trier autore del film Melancholia – dato che tanto prima o poi moriremo comunque (come singoli e come specie); piuttosto significa affrontare la vita dimorando nell’equilibrio. Cercare di sopravvivere è imperativo, ma questo andrebbe fatto in un modo diverso da quello attuale.
Sopravvivere non significa sovvertire costantemente l’ordine naturale delle cose. Quindi, se si esce indenni dall’onda di una pandemia, o da quella di un’incendio o di uno tsunami, la prima cosa da fare e capire dove si è sbagliato, come singoli e non come specie. È troppo facile affidare ai governi la responsabilità di quel che ci accade. La società è composta da noi, tanti microscopici e complessi individui. Se ognuno pensa e lavora in direzione dell’equilibrio allora la società tutta sarà più equilibrata. Viceversa, per quanto un governo possa avere buoni propositi (sulla carta), se ogni singolo individuo continuerà ad assecondare la via della crescita e dell’accumulo personale senza freni, in modo egoista e utilitarista, allora non c’è alcuna speranza. Sia ben inteso, non c’è alcuna speranza nemmeno nel breve termine. Il “lungo termine” lo abbiamo già perso parecchio tempo fa, giocando a poker contro la natura.
Gli umani devono smetterla di vivere in contrasto contro la natura, smetterla di vivere in contrasto contro gli altri, smetterla di vivere contrasto contro sé stessi, smetterla di vivere in contrasto.
La vita intelligente non è contrastare e opporsi alla corrente sino a quando sopraggiunge la stanchezza e si annega, indipendentemente da quanto si è forti in partenza; la vita è fluire dentro le acque del fiume, seguendo la sua corrente e trovando di volta in volta un approdo nel quale riposarsi, senza interferire eccessivamente con l’ordine delle cose.
La metafora del vincente, del guerriero e del combattente che non demorde mai, al fine di raggiungere il suo risultato, a costo di rischiare la sua e la sacrificabile vita altrui, schiacciando tutto, è quanto di più stupido e banale mai prodotto dalla mente umana. Non è altro che una ridicola dilatazione mentale dell’istinto naturale che ha ogni scimmia da noi rinchiusa negli zoo per essere derisa in modo specista.
Se davvero ci sentiamo più evoluti delle scimmie – che andrebbero lasciare libere – allora dimostriamolo. Sino ad ora abbiamo solo dimostrato di essere le peggiori scimmie mai apparse sulla Terra.