
Ci sono molti praticanti di arti marziali cinesi interne che si addestrano da tanti anni. Eppure, nella maggior parte dei casi, l’unica cosa che ottengono è qualche abilità esterna o una sorta di apparente armonia che si traduce in estetica del movimento. Perché accade questo e non avviene alcuna vera trasformazione? Come mai non si acquisiscono vere abilità interne? Il tutto si può sintetizzare con l’analogia che segue, comprensibile da chiunque, anche da coloro che non hanno mai praticato arti come il Taijiquan.
In molti casi i praticanti di lungo corso sono in grado di sfoggiare una bella carrozzeria da guardare ma fondamentalmente non mettono mai all’interno il motore. Come è ovvio, nessuna automobile, per quanto bella ed efficiente nelle sue singole parti, può andare da qualche parte in assenza del motore. Il “motore” delle arti marziali interne può essere installato grazie agli insegnamenti di un Maestro che conosce il come e il cosa. Ma non è detto che gli esperti di tale materia, i Maestri, siano disposti a condividere i metodi utili a raggiungere il giusto fine. Questo è il motivo che, ancora oggi, crea una differenza tra praticanti veri e praticanti illusi di stare praticando qualcosa di vero, ai quali spesso viene insegnato di tutto con lo scopo di non insegnargli nulla. Ovviamente non tutti gli insegnanti sono conservatori o in mala fede. Quasi sempre chi insegna semplicemente a sua volta non conosce le cose.
Il primo e più importante insegnamento è un’idea che cerco di far passare durante miei incontri iniziali di Taijiquan nelle classi principianti. L’idea è l’acquisizione della prima certezza possibile nel percorso del Taichi: “non so nulla e non ho capito niente”. Questa certezza è quella che mi ha consentito negli anni di non smettere mai di ricercare, approfondire, studiare, praticare e confrontarmi. Solo così sono potuti apparire, ogni tanto, dei veri Maestri e/o dei veri insegnamenti. Se non avessi affrontato il percorso con questa idea fissa nella mia mente sarei rimasto, con molta probabilità, nell’illusione costante di sapere qualcosa di profondo, di essere sul percorso migliore o guidato dall’insegnante più esperto.
Il problema dell’essere principiante, nel senso di persona che ha appena inziato un nuovo percorso, è che non sapendo riconoscere cosa è vero e cosa non lo è, finisce per affidarsi nelle mani di persone potenzialmente inesperte. Eppure, se la mente del principiante rimane aperta, nella modalità “non so e non capisco” – ergo: non possiedo alcuna verità definitiva – finire tra le braccia di gente inesperta diventerà un’esperienza importante per il proprio futuro. Tale esperienza donerà la capacità di sapere quando si è innanzi a qualcuno che sa (e magari nasconde) o qualcuno che semplicemente dice di sapere o al quale piace mostrare bellezza o forza (ego).
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Ad ogni modo quando si intercetta qualcuno in grado di insegnare almeno i rudimenti bisogna prendere gli insegnamenti elementari, corretti, utili a creare il telaio, la carrozzeria e tutte le parti esterne. A quel punto si può procedere nella ricerca di qualcuno che sarà in grado di fornire anche la parte più importante, il motore. Chiaramente sulla potenza del motore non ci si può esprimere perché dipende da diversi fattori, uno su tutti quanto lo si fa lavorare prendendosene cura, ovvero quanto ci si esercita sulle cose correte con costanza e nutrimento. Tutto questo però, nel campo marziale non dovrebbe mai spingere all’illusione nella quale finiscono in molti, ovvero bisogna sapere o ricordarsi una regola costante che viene smentita solo in eventi più unici che rari: a parità di peso ha il sopravvento il motore più efficiente, ma tra una persona piccola e leggera e una grossa e pesante, a parità di abilità, ha la meglio sempre quello più grosso. Chiaramente questo discorso vale nel contesto di confronti non amichevoli o competitivi. Tale certezza cambia se l’avversario, per quanto più grosso sia, non possiede comunque le abilità utili a contrastare qualcuno che le ha.
Sebbene lo scopo ultimo e di alto livello del Taijiquan è quello di potenziare il Qi e migliorare l’equilibrio psicofisico, non va dimenticato che la base elementare dell’arte è la componente marziale. Non si è mai visto nessuno iscriversi all’università a 5 anni, senza prima essere passato dalla scuola elementare, media e superiore. Oggi però ci si imbatte facilmente in praticanti di Taijiquan che parlano di energia interna nel contesto del Taijiquan senza avere idea di cosa stanno parlando. Purtroppo troppo spesso i praticanti parlano per sentito dire o perché ripetono cose lette sui libri. Lo studio dei testi Classici è vitale (I tre Classici del Taijiquan di Wang, Wu e Li), ammesso che qualcuno si sforzi di leggerli e studiarli davvero, ma questo non può esulare da una corretta pratica insegnata da qualcuno che ha passato più tempo a praticare che non a leggere con il fine di andare in giro a fare il “guru” in classi di ignoranti inesperti.
Se le parole emergono dall’esperienza hanno un peso, quando emergono dal nulla, sono vuote, non raggiungono alcun obiettivo. L’arte marziale interna, il Taijiquan, non è una danza. Può essere un sistema meditativo in movimento? Certamente, ma prima deve essere conosciuto in modo approfondito per poterlo insegnare in questa modalità nella quale si demarzializza il sistema. Basta immaginare di rivolgersi a un medico che ha studiato moltissimo ma che non ha mai visitato un paziente, conosce quindi molto bene la teoria ma non ha mai avuto occasione di metterla in pratica. Chi mai affiderebbe la propria vita a una persona del genere?
Nel Taijiquan è lo stesso. Bisogna conoscere la teoria corretta, così da sapere cosa è giusto e cosa no – un aspetto non scontato, dato che sono poche le persone che conoscono davvero i primi tre Classici originali – ma alla teoria va unita la pratica e per questa serve un insegnante dato che ogni teoria che passa dal corpo-mente si acquisisce attraverso l’esperienza di esercizi specifici da ripetere innumerevoli volte nel tempo. Quando invece si finisce per eseguire esercizi che hanno una valenza solo estetica, per quanto possano sembrare un bel Taijiquan, in realtà stanno portando in una direzione che non lo è.
Sia chiaro, ogni insegnate di Taijiquan dice che il suo metodo è quello vero mentre quello altrui è falso. Questo vale tanto in Cina quanto in occidente. Un aspetto che può scoraggiare il praticante che sta ricercando gli insegnamenti corretti.
Nel tempo però si acquisisce la seconda certezza: “non c’è finto o vero Taijiquan, c’è solo giusto o sbagliato”. Ovvero, Taijiquan con il motore o privo di motore. La differenza del giusto o sbagliato Taijiquan non risiede in quel che si mostra esternamente, attraverso la “carrozzeria”, ma nel “motore”. Se il motore è quello giusto, poco importa come appaiono le forme e le tecniche esterne che si imparano a padroneggiare nelle diverse scuole. Ma se il motore è assente si rimane fermi alla griglia di partenza, oppure si finisce per spingere a mano un veicolo pesante che certamente non arriverà lontano.
È importante chiarire a sé stessi perché si sta praticando, se c’è un obiettivo che farà godere di quel che si apprende lungo il percorso. Quando l’obiettivo è guidato dall’ego, il fallimento è in partenza. Cosa si spera di ottenere? Sapere dare qualche pugno o sapere fare una bella danza di movimenti? Questo lo si può ottenere in modo più facile attraverso pratiche sportive o arti performative. Se invece l’obiettivo è apprendere cose profonde che possano aiutare sé stessi e gli altri, allora si è sulla strada maestra. Se l’obiettivo è questo bisogna sforzarsi di guardare oltre la banalità dell’ego e della mente vincolata alle illusioni e all’appagamento del desiderio.