Qualche volta durante gli incontri di Taichi Chuan tenuti a Palermo con i principianti inserisco qualche sottofondo musicale “rilassante”. Nella mia ricerca e lavoro come insegnante questo approccio ha due funzioni:
- Aiutare le persone nel processo conoscitivo vicendevole (la musica ha un grande potere aggregativo).
- Osservare le loro reazioni/sensazioni, facendo alcuni esercizi semplici così come la forma di Tai Chi accompagnati dalla musica.
Detto ciò, le lezioni da me tenute sono generalmente silenziose, prive di musica, e spesso mi viene detto: “(…) come mai oggi niente musica? Con la musica è molto più bello!“.
È del tutto normale che i principianti lo dicano, poiché con poche ore di pratica alle spalle non si può pretendere che abbiano già raggiunto una dimensione stabile di movimento consapevole, nemmeno a livello puramente posturale.
In una società che vive di rumori, su diversi livelli, bisogna imparare ad apprezzare i silenzi.
V.B.
Per me, la musica è un test che mi aiuta a comprendere a che punto del percorso sono i miei studenti. Per questo, di tanto in tanto, inserisco lezioni con accompagnamento musicale. Le loro reazioni rivelano il livello di consapevolezza raggiunto nella pratica del Taijiquan: più avvertono la necessità di un sottofondo musicale, più significa che dipendono ancora da un sostegno esterno, una sorta di stampella mentale e illusoria.
In sintesi, a chi domanda se “Può essere utile praticare Taichi con accompagnamento musicale?“, posso dire questo:
Assolutamente no. Il Taijiquan è un’arte del tutto autosufficiente. La musica è una distrazione che:
- Inganna il praticante facendogli credere di essere calmo.
- Sostituisce l’ascolto interiore con un suono esterno.
- Compromette la consapevolezza del corpo e della mente.
Sophia Delza, allieva americana del Maestro Ma Yuehliang, condivideva la mia stessa visione su Taichi e musica. Di seguito, riporto un suo scritto sull’argomento.
Prima di leggerlo, è utile sapere che Delza fu prima di tutto una danzatrice e coreografa professionista, quindi non certo estranea alla musica, né indifferente al suo fascino. Tuttavia, come accade a chi pratica con costanza e dedizione sotto la guida di un vero Maestro di Taijiquan, anche lei giunse alle stesse conclusioni, indipendentemente dal suo background artistico e culturale.
Testo a seguire di Sophia Delza (1986)
Il Taichichuan è un tipo di esercizio autosufficiente e non ha bisogno di nessuna forza estranea a esso per essere stimolato. Se nell’esercizio del Taijiquan la musica risulta necessaria alla mente del praticante, tanto vale non esercitarsi affatto dato che verrebbe a mancare il principio essenziale dell’esistenza di questa pratica: mettere in armonia corpo e mente. Il Taijiquan esiste di per sé, attraverso la natura complessa del proprio mondo fisico, mentale ed emozionale. La musica è estranea all’essenza del Taijiquan. È una distrazione, una stampella che porta lo studente a pensare di stare raggiungendo la calma senza raggiungerla davvero. È un inganno che rende appetibile il Taijiquan romanzandone l’esercizio.
In realtà la musica impedisce a chi pratica di concentrarsi sulla relazione armoniosa tra forma e sé; inibisce l’essere “consapevole” mentre si sviluppa intuizione e tranquillità cosciente.
Invece di ascoltare sé stessi, con la musica ci si appoggia al suono esterno che mina lo spirito essenziale del Taichi Chuan.
Il silenzio
Il silenzio è essenziale per l’addestramento del vero Taijiquan. Il silenzio è oro.
La mente può concentrarsi sul momento e sul pre-momento per prepararsi all’azione successiva senza indizi provenienti da un’influenza esterna. La mente rende autosufficienti nel silenzio dell’atto presente. Nel silenzio la mente può respingere i pensieri estranei e può auto spronarsi a essere presente quando inizia a vagare. Il silenzio aiuta a ricordare sé stessi, così si può raggiungere un piano superiore di coscienza.
Il silenzio è essenziale per la consapevolezza e per l’attenzione, oltre che per ascoltare sé stessi dall’interno verso l’esterno, e quindi essere in grado di richiamare alla superficie della mente pensieri profondi che rivelano un’ansia, un desiderio, un fatto, una speranza; cose che sorgono come un lampo in modo pertinente e significativo.
Con l’esperienza e il controllo, il silenzio aiuta a limitare la mente all’argomento in questione e l’interferenza di idee irrilevanti diminuisce in modo progressivo. Così come il corpo fisico (chimico, dinamico, meccanico) acquisisce gradualmente, grazie all’esperienza: resistenza, sollievo e competenza, tanto quanto la capacità di dissolvere il flusso di pensieri, che sono distruttivi. Essere silenziosi è ben lungi dall’essere pesanti. Al contrario, tale silenzio è piacevole, equivale a tranquillità. Dal momento che questo silenzio è benefico, possiamo dire che il “silenzio è d’oro” in un modo che è ben più del semplice modo di dire.
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