
Premessa
«[…] l‘immediatezza della natura deve essere superata dal potere della cultura».
Con questa frase, una mia allieva saggia, Giovanna, mi ha salutato dopo uno degli incontri settimanali di Taijiquan e Qi Gong al parco. Con “immediatezza della natura”, nel contesto del nostro discorso, si intendeva quel potere di quell’energia naturale, tipicamente manifesto in chi è giovane, che la nostra società ha piallato su un’idea superficiale di prestanza e prestazione, di forza e virilità che deve schiacciare ogni fragilità e presunta debolezza. Un machismo imperante che viene declinato in molteplici modi e che ormai è pienamente abbracciato anche dal mondo femminile. Quasi come se parità dei diritti di genere, in questo nuovo millennio, corrispondesse, per qualche perverso motivo, a una omologazione tarata sul maschile (più becero). D’altronde, anche rimanendo nel campo delle arti marziali, sia gli stili antichi che quelli più recenti non si sono mai discostati dall’idea di machismo, di prestazione e di condizionamento finalizzato alla forza (così come hanno fatto gli sport). Una forza che deve crescere costantemente, sino da sconfiggere la paura della vecchiaia. Un’idea di vecchiaia che non è accettata – per povertà culturale – e che quindi viene scacciata tramite strategie sempre più affilate (come i bisturi adoperati nella chirurgia estetica) utili a rimanere “giovani”, forti e prestanti. Una società dell’anti invecchiamento che nel rincorrere l’eterna giovinezza è divenuta la società dei vecchi travestiti da giovani, che non si accettano e che fanno di tutto per allontanare dalla propria mente il momento del naturale decadimento e conseguente naturale trapasso. Così, c’è chi cerca soluzioni nelle pratiche antiche di matrice asiatica (marziale/energetica), chi si pompa i muscoli in palestra all’occidentale e, ovviamente, il tutto viene condito da continui ritocchi estetici e dalle recenti finzioni degli avatar digitali sui social.
Il Taijiquan arriva da lontano, da un tempo antico nel quale quest’arte si caratterizzò come pratica contrapposta all’idea di forza, nella convinzione che con la morbidezza e la cedevolezza si potesse sconfiggere anche il più forte e duro dei combattenti. Non perché questo dovesse servire al combattimento in sé, come astuta forma di prevaricazione, ma perché era la dimostrazione fisica di quanto fosse vero parte di quel che si trovava scritto nel testo Daodejing. Ovvero l’idea, di altissimo livello, che può essere riassunta in un ossimoro: la più grande forza è la “debolezza”. E questo è una parte di quello che dovrebbe insegnare il vero Taijiquan.
In tal senso, concordo pienamente che l’idea di “natura”, machista e virile, dovrebbe essere ampiamente superata dal potere della cultura. Non è un caso che un altro primato storico del Taijiquan, rispetto alle altre arti marziali, è quello di essere stato, sin dalle sue origini, una pratica tanto corporea quanto culturale e di profonda ricerca intellettuale, che porta allo studio di diverse discipline e spinge verso la saggezza.
Ciò non toglie che il Taijiquan è stato provetatto come metodo di autocura e per la longevità, ma non nell’idea di basso livello – di auto inganno – che la vecchiaia possa essere sconfitta, ma come sistema per arrivarea alla vecchiaia in equilibrio, evitando problemi e sofferenze tipiche di chi non si è preso cura di sé stesso, di chi si è abbandonato lungo il percorso, di chi si è solo affidato agli altri o a ciò che è esterno a sé e di chi si è preso cura di sé in modi eccessivi o errati.
L’omologazione e i bluff figli dell’epoca social
Nella società attuale, prevale su tutto, come supremo criterio personale, il denaro. Questo spinge le persone a seguire nuove regole propagandistiche che spesso abusano anche del concetto di auto guarigione. Per tale motivo le pratiche ingegnose basate sull’energia interna, in cinese Qi (氣), si stanno estinguendo, mentre vengono soppiantate dai bluff sensazionalistici, figli dell’era dei social network, che prosperano, fuorviando e ingannando gli innocenti e gli ignoranti. Oltretutto vengono ripetute da chiunque, anche da coloro che non ne hanno alcuna vera esperienza, “formule” preconfezionate, figlie del copia e incolla web, che impoveriscono ulteriormente ciò che è vero, spingendo le persone a credere che i metodi originali non siano nulla più che misticismo. Tutto ciò è un vero peccato!
Il Taijiquan, che come ultimo e più alto scopo di sempre aveva l’auto cura e la longevità, nelle ultime 10 generazioni è stato minato da diversi interpreti e divulgatori dell’arte che spesso lo hanno relegato a nulla più che un’arte combattiva, mescolandolo con altri stili, e in altre occasioni non sono riusciti a farsi promulgatori nemmeno di questo.
Sebbene è vero che il Taijiquan è di base un’arte marziale – e senza le basi è illusorio pensare di poter parlare di altro – il suo scopo più alto non è mai stato il confronto/scontro. Infatti può essere detto, senza paura di errare, che delle arti marziali nate in Cina non vi è stile marziale che nasca da un seme più difensivo del Taijiquan. Combattere verbalmente, mentalmente e fisicamente è di fatto l’opposto del vero scopo del Taijiquan di alto livello.
Le meccaniche esterne/interne di quello che oggi chiamiamo Taijiquan, nei tempi remoti conosciuto come Nei Jia Quan, non trovano la loro massima espressione durante un combattimento o su un ring, ma bensì nell’idea di coltivazione del Qi (energia) e dello Shen (spirito), attraverso lo studio e la ricerca intellettuale e pratica.
Il Taijiquan è a tutti gli effetti una pratica che porta a toccare con mano il principio filosofico dello yinyang. Da questo punto in poi la sua via indirizza inevitabilmente al secondo principio che è il ritorno all’uno, al Wuji (無極), al Tutto, seguendo la Via o, diversamente detto, coltivando il Dao (道). Nella consapevolezza della caducità e dell’impermanenza di tutte le cose, noi compresi: i limitati esseri umani.
Qualche precisazione
- Il “Tutto” ci contiene e noi ne facciamo parte, oltre a esserne una emanazione, ma noi non siamo contenitori del Tutto. Come potremmo mai essere una micro versione del Tutto? Semplicemente non è possibile. Il Tutto contiene l’universo, gli universi, e noi individui siamo definibili come micro universo, questo è certo. Siamo quindi un microcosmo in tutto e per tutto diversamente uguali dal macrocosmo.
- Biologia ed astronomia non sono scienze poi così diverse da un certo punto di vista. Infatti, una volta compreso l’intero microcosmo – qualora questo fosse possibile e non lo è – si capirebbe l’intero macrocosmo, o viceversa.
Dato che come esseri umani, ovvero entità a scadenza breve, finite e limitate, non abbiamo modo, non ora e nemmeno in futuro, di sapere tutto, tanto vale lavarsi dall’arroganza tipica della nostra specie. Questo significa abbracciare la meraviglia del mistero tanto quanto facciamo già con la meraviglia della scoperta. - Per quanto possiamo sforzarci, non siamo in grado di comprendere tutto e per il tempo che ci è dato questo va apprezzato. Il mistero è yin, la scoperta è yang. Se non ci fosse l’uno non sapremmo apprezzare nemmeno l’altro. Ogni vero scienziato ne dovrebbe essere cosciente. Chi crede che tutto ha una spiegazione traducibile in un linguaggio umano non comprende che se questo fosse possibile saremmo oltre la natura divina, saremmo noi stessi la fonte di tutte le cose e così non è. Come umani non siamo in grado di spiegare l’intero micro-macro universo e men che mai la sua fonte.
Fare paragoni di tipo marziale combattivo tra il Taijiquan ed altri stili di combattimento contemporanei o recenti, cercando in tutti i modi di attualizzare il Taijiquan, significa spingere quest’arte antica verso la morte e l’omologazione con discipline che sono, energeticamente e spiritualmente parlando, di basso livello.
Ognuno è certamente libero con quel che sa o ha compreso di farci ciò che vuole, dato che il solco che decidiamo di tracciare durante il nostro passaggio terreno deve essere una libera scelta. Ognuno deve essere infatti libero di esprimersi in libertà con i mezzi che desidera, sempre rispettando lo spazio vitale di libertà altrui. Ciò non toglie che quanto scritto sopra serve a evidenziare qual’era l’intento iniziale dei primi veri Maestri di Taijiquan e il rischio che si corre snaturando l’arte in questione, che è quello di perderla definitivamente.
Diversi Grandi Maestri, anche nel recente passato, hanno provato ad avvertire su qual’era l’intenzione madre del Taijiquan, ma sembra che oggi i più siano attratti da ciò che è esterno e legato al fare del male, piuttosto di ciò che è interno e connesso a fare del bene. È un vero peccato!
Il mio libro sul Taijiquan è costellato di delucidazioni filosofiche e storiche sull’arte qui trattata ed è, inoltre, colmo di spiegazioni di tipo marziale, in merito alle differenze che ci sono tra il Taijiquan ed altri sistemi di combattimento moderni. Inoltre nel testo viene spesso evidenziata la validità marziale dell’arte, tanto efficace quanto enormemente complessa se praticata nella sua forma originale, che è “opposta” all’idea odierna di contrasto fisico noto a tutti. Le spiegazioni marziali del mio libro non devono essere lette come contraddittorie con quanto scritto in questo breve articolo. Infatti, come già menzionato, la base dell’arte è marziale e quindi il suo basso livello è anche il più importante per comprendere la materia di alto livello. Questo perchè non vi è cima di una montagna che può essere raggiunta senza passare prima dalle pendici. Ed è durante il percorso che ci si arricchisce di consapevolezze.
Nel Taijiquan il percorso, quando è vero, non potrà portare che a una verità: le pendici dell’arte sono marziali e non trascurabili ma il suo scopo ultimo lo si trova sulle vette. Quindi, una volta compresa la base è inutile continuare a ossessionarsi su di essa. Non porterebbe in alcun luogo diverso o più speciale di quello nel quale non ci si trova già.