presenza consapevole

Chi siamo davvero?

Prima ancora di rispondere alla domanda “cosa è la presenza consapevole?”, dobbiamo rispondere a un interrogativo ancora più profondo: chi e/o che cosa siamo?

La nostra identità è spesso modellata da condizionamenti sociali, credenze culturali e influenze esterne. Tuttavia, se ci liberiamo di questi strati e osserviamo noi stessi attraverso l’esperienza diretta, cosa rimane? Qual è la verità che possiamo cogliere senza dipendere dall’opinione degli altri?

La natura dell’essere è una questione che ha affascinato filosofi, mistici e scienziati per millenni. La frase di William Blake offre un’intuizione potente:

La natura è l’immaginazione stessa.
Come un uomo è, così vede.
Come l’occhio è formato, così sono i suoi poteri.

Questa citazione suggerisce che il nostro modo di percepire il mondo dipende dalla nostra stessa natura. La nostra consapevolezza di noi stessi condiziona tutto ciò che vediamo e comprendiamo. Ma cosa significa veramente “essere consapevoli di sé”?

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La certezza dell’esistenza

L’unico fatto di cui possiamo essere assolutamente certi è che esistiamo. Il semplice riconoscimento di “io sono” è un’esperienza primaria, diretta e innegabile. Non è un concetto intellettuale, ma una consapevolezza immediata.

Normalmente, diamo per scontato questo senso dell’essere. Viviamo immersi in pensieri, emozioni e percezioni che spesso ci distolgono da questa verità fondamentale. Eppure, se per un momento mettiamo da parte tutto ciò che pensiamo di essere e ci soffermiamo su ciò che realmente esperiamo, ci rendiamo conto che la nostra presenza è la cosa più evidente e primaria.

In altre parole, l’essere presenti non è qualcosa che dobbiamo acquisire o costruire: è la nostra condizione naturale. Tuttavia, questa presenza diventa “consapevole” solo quando portiamo attenzione a essa.

L’auto-conoscenza e il riconoscimento del sé

A questo punto, sorge una domanda cruciale: chi è che riconosce l’essere? È l’io che sa di essere, oppure veniamo conosciuti da qualcosa di diverso da noi?

La risposta è che l’io è sia colui che conosce sia ciò che è conosciuto. La consapevolezza non è un oggetto separato dall’essere: è la qualità intrinseca dell’essere stesso. In altre parole, l’atto del conoscere non è distinto dal fatto di esistere. Questa realizzazione ha implicazioni profonde: significa che non abbiamo bisogno di nulla di esterno per sapere di essere presenti. Non abbiamo bisogno di pensieri, sensazioni o percezioni per confermare la nostra esistenza.

Proviamo un semplice esperimento: se qualcuno ci chiede “sei presente?”, ci fermiamo per un attimo, portiamo attenzione a noi stessi e rispondiamo “sì”. Questo breve istante di pausa ci porta direttamente alla nostra esperienza più intima. Durante quel momento, non ci riferiamo a ciò che pensiamo di essere, ma entriamo in contatto con la nostra esistenza diretta. Non stiamo elaborando un pensiero; stiamo semplicemente essendo.

Il miracolo della presenza mentale è un libro del monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh che introduce il lettore alla pratica della mindfulness, o presenza mentale. Con un linguaggio semplice e accessibile, l’autore propone una serie di esercizi che insegnano a trasformare le attività quotidiane, come lavare i piatti o ascoltare musica, in opportunità di crescita spirituale. Il testo si basa su insegnamenti tradizionali buddhisti, adattati per essere facilmente applicabili nella vita di tutti i giorni.

Il Sé non ha bisogno di conferme esterne

Questa consapevolezza di sé non dipende dalla mente, dal corpo o dalle percezioni. Non dobbiamo ricorrere alla memoria o a una conferma esterna per sapere di esistere. Questo è il motivo per cui la presenza consapevole è l’esperienza più diretta e fondamentale della nostra esistenza.

Ciò significa anche che la consapevolezza è autonoma: non è qualcosa che deve essere costruito o sviluppato, perché è già presente. Non è qualcosa che possiamo perdere, perché è ciò che siamo. Il problema, semmai, è che nella vita quotidiana tendiamo a identificarci con pensieri, emozioni e percezioni, perdendo il contatto con questa realtà fondamentale.

La presenza consapevole nella vita quotidiana

A questo punto, possiamo chiederci: cosa significa vivere con presenza consapevole? Come possiamo integrarci con questa realtà nel nostro quotidiano?

Essere consapevoli significa vivere nel “qui e ora”. Tuttavia, questo non significa semplicemente prestare attenzione al momento presente in senso superficiale. Significa riconoscere continuamente la nostra esistenza, indipendentemente da ciò che accade attorno a noi. Non si tratta di concentrarsi su un oggetto specifico o di forzarsi a rimanere nel presente, ma di riscoprire la nostra naturale condizione di presenza.

Alcune pratiche possono aiutarci in questo processo:

  • Meditazione e silenzio interiore: la meditazione ci aiuta a distaccarci dal flusso ininterrotto dei pensieri e a riconoscere il semplice fatto di esistere. (Ti potrebbe anche interessare: Guida introduttiva alla meditazione – Quel che ti serve)
  • Osservazione senza giudizio: possiamo sviluppare l’abitudine di osservare la nostra esperienza senza cercare di cambiarla o etichettarla.
  • Riconoscere le distrazioni della mente: ogni volta che ci accorgiamo di essere persi nei pensieri, possiamo semplicemente riportare l’attenzione alla nostra consapevolezza primaria.
  • Ascolto consapevole: prestare piena attenzione alle persone con cui parliamo, senza distrazioni, ci aiuta a vivere più profondamente il momento presente.
  • Muoversi con consapevolezza: pratiche come il Tai Chi, lo Yoga o il Qi Gong possono aiutarci a coltivare la presenza consapevole nel corpo.

La presenza consapevole. L’esperienza diretta della nostra vera naturaSin da piccoli crediamo che ottenere ciò che desideriamo ci renda felici, ma questa felicità svanisce presto. Questo dimostra che non dipende dagli oggetti o dalle relazioni. Molti cercano allora risposte nella spiritualità, ma anche gli stati mentali offrono solo attimi di pace. Questo porta a una crisi, in cui si comprende che la vera felicità non si trova in nulla di esterno. Inizia così un’indagine sulla nostra natura, scoprendo che la presenza consapevole è libera e in pace. Nel riconoscerla, ci rendiamo conto di essere un tutt’uno con l’universo e che l’amore è la base di ogni esperienza.

La consapevolezza oltre il concetto di “io”

Un altro aspetto interessante della presenza consapevole è che, sebbene inizialmente sembri riferirsi all'”io”, andando più in profondità ci rendiamo conto che non è qualcosa di personale. L’”io sono” non è un pensiero o un’identità separata, ma una consapevolezza universale.

Questo è il punto in cui la presenza consapevole si intreccia con molte tradizioni spirituali. Nel buddismo, ad esempio, si parla di “non-sé”, sottolineando che la nostra vera natura non è un’entità separata ma una consapevolezza libera dalle limitazioni dell’ego. Anche nella filosofia vedantica, “l’Atman” (il sé individuale) è spesso identificato con il “Brahman” (la realtà ultima), suggerendo che la nostra consapevolezza personale è in realtà la stessa coscienza universale.

Conclusione: essere e sapere di essere

Riconoscere la presenza consapevole non è un esercizio mentale, ma un ritorno alla nostra vera natura. Non è qualcosa che dobbiamo raggiungere, ma qualcosa che siamo sempre stati. Ogni istante in cui ci fermiamo e riconosciamo “io sono” senza ulteriori concetti, tocchiamo questa realtà diretta.

La pratica della presenza consapevole non è quindi una tecnica, ma un risveglio alla nostra esistenza autentica. Quando comprendiamo che il nostro essere è già consapevole per natura, possiamo rilassarci e smettere di cercare qualcosa che è sempre stato qui.

Come diceva il filosofo Nisargadatta Maharaj:

La consapevolezza è l’unica verità. Tutto il resto è una proiezione della mente.

Tornare alla presenza consapevole significa riconoscere questa verità direttamente, al di là dei pensieri, delle credenze e delle identificazioni. Significa vivere con pienezza, liberi dalle illusioni della mente e radicati nella nostra essenza più profonda.

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Written by

Valerio Bellone

Valerio Bellone è un ricercatore e praticante di lunga data nel campo del Taichi Chuan, del Qi Gong e della Meditazione. È autore del primo e unico saggio in italiano dedicato ai tre Classici del Taijiquan, un’opera fondamentale per gli appassionati della disciplina.
Il suo percorso ha inizio nel wushu moderno, per poi approdare alla tradizione autentica del Taijiquan. Ha studiato lo stile di Cheng Man Ching e successivamente l'originale stile Yang della famiglia, approfondendo gli aspetti teorici e pratici di questa antica arte.
Oggi insegna regolarmente Taichi, Qi Gong e Meditazione a Palermo e divulga con passione questi argomenti attraverso articoli e pubblicazioni specialistiche.
In passato è stato un fotografo di viaggio, raccontando il mondo attraverso il suo obiettivo. Scopri di più sul suo lavoro fotografico visitando il sito valeriobellone.com.